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“April” e la ferocia imperturbabile del patriarcato
Dea Kulumbegashvili articola un film stratificato, sotto certi aspetti criptico, testimone di una violenza brutale e disumanizzante. Con la calma del serial killer conduce lo sguardo del pubblico dove altrimenti non lo poserebbe, senza la minima paura della complessità. Il merito di April infatti è proprio quello di non accettare compromessi, di seguire la sua strada pur rischiando di non farsi comprendere, accogliendo la responsabilità di dare voce a chi non ha né la possibilità né il diritto di esprimersi.
“Broken Rage” e il trasformismo di Takeshi Kitano
In Broken Rage Kitano gioca col suo alter ego, con la sua espressione minacciosa, trasformandola nel suo opposto, quella di un anziano che sente su di sé il fardello dell’età. Vederlo stramazzare al suolo in più occasioni ha un effetto quasi struggente, è l’umiliazione di un uomo che ha suscitato emozioni fortissime in film come Sonatine o Hana-bi. Ma fa tutto parte del piano: Kitano è allergico alle etichette, intollerante a qualunque tipo di definizione.
Il film dimenticato di Nagisa Oshima tra sensualità e politica
Prima ancora di essere un film Storia segreta del dopoguerra è una riflessione sul senso stesso del cinema, sul valore dell’immagine e sul suo rapporto con la realtà. Allo stesso tempo si intreccia con la storia, con l’impotenza e il dogmatismo dei collettivi di cui lo stesso Oshima faceva parte. “Leggigli una favola trotzkista” dice a un certo punto, senza ironia, uno dei membri del collettivo a Yasuko per calmare il traumatizzato Shoichi, come se l’arte dovesse essere necessariamente ideologica.
“The Room Next Door” ode all’autodeterminazione
The Room Next Door, nuovo film di Pedro Almodóvar, ha il ritmo del moto ondoso, una fluidità in cui i fitti dialoghi tra Martha e Ingrid oscillano con la delicatezza di una nave che viaggia verso l’orizzonte. Non ci sono picchi di tensione, non c’è disperazione, ma soltanto l’accettazione di qualcosa che sta finendo. È la vita stessa, nella sua caducità, che si anima e assume significato nelle parole delle due protagoniste.
“Happyend” coming of age politico
Con una regia elegante, briosa ed efficace il giovane regista giapponese (ha solo trentatré anni) ha la capacità di intrecciare con la consapevolezza del veterano le traiettorie di un gran numero di temi e personaggi, mantenendo sempre lo sguardo sull’obiettivo. Happyend è un’opera profondamente sentita e ispirata che ci invita ad accogliere le nostre responsabilità nel trasformarci in parte attiva per un cambiamento che di giorno in giorno diventa sempre più necessario.
“Cloud” e la schizofrenia della contemporaneità
Seppur non sia il miglior film del regista giapponese, per una piattezza formale e di sostanza che non appartiene a capolavori del calibro di Tokyo sonata o lo stesso Kairo, Cloud ha il merito di riprodurre efficacemente la schizofrenia della contemporaneità. Di fronte ad un mondo in cui il senso di fine si fa sempre più ingombrante, Kurosawa mostra come l’umanità si sia chiusa in se stessa, atomizzandosi, sempre alla ricerca di un nemico su cui scaricare la propria rabbia.
“Disclaimer” e la verità manipolata
Disclaimer gioca con lo spettatore, lo convince prima di qualcosa e poi del suo contrario, lo intrappola in una tela i cui fili sono verità in contraddizione tra loro, false piste, dettagli che sembrano capitati lì proprio ad indicargli la strada e lo rapisce con la sua tensione drammatica. Le voci si moltiplicano, le immagini si sovrappongono, i pregiudizi si calcificano e le risposte prendono forma da sé costituendo un quadro apparentemente inattaccabile.
“El Jockey” e il viaggio alla ricerca dell’identità
L’aura che avvolge El jockey è quella di un surrealismo che però manca di poesia. Più che legato alle correnti cinematografiche argentine, come il realismo magico del meraviglioso Trenque Lauquen di Laura Citarella, ha una tensione decisamente più pop e internazionale. Infatti vedendo El jockey forse il primo riferimento che ci sovviene richiama l’estetica di Wes Anderson, oltre ad una certa atmosfera da Nouvelle Vague.
“Il mistero scorre sul fiume” rarefatto e sfuggente
Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, Il mistero scorre sul fiume di Wei Shujun è un giallo inusuale, un noir rarefatto e sfuggente. Il titolo scelto dalla distribuzione italiana strizza l’occhio al classico di Laughton col quale si potrebbero tessere interessanti parallelismi. In realtà il titolo originale è lo stesso del racconto da cui il film è tratto, ovvero Errore in riva al fiume di Yu Hua, uno dei più importanti scrittori cinesi.
Il cinema giocoso di Stephanie Rothman
Tra l’horror e il cinema d’exploitation Stephanie Rothman è stata una delle pochissime registe donne a riuscire a ritagliarsi uno spazio nel mainstream americano, trovando anche una certa indipendenza e autonomia nella direzione dei propri film. Con una formazione da sociologa (si è laureata in sociologia a Berkeley) e una predilezione per i film a basso costo, Rothman è riuscita a delineare all’interno del genere uno stile del tutto unico e originale.
“Omicidio a luci rosse” e il mondo di cartapesta di Hollywood
Omicidio a luci rosse ha il potere di guadagnare fascino a ogni visione, come quando si ripercorre un proprio sogno trovando attraenti immagini o simboli che prima apparivano privi di significato.. È l’andatura spezzettata e caotica del sogno a definire la parabola narrativa di Jake, in viaggio attraverso l’immenso parco divertimenti hollywoodiano. Un mondo di cartapesta dove il confine tra reale e artificiale svanisce in una dissolvenza incrociata.
“Carrie” e il potere dello sguardo
Tra l’horror e il teen movie, il primo film tratto da un romanzo di Stephen King ha il fascino del cult e un magnetismo capace di tenere col fiato sospeso intere generazioni di spettatori. Un cinema barocco, pieno di virtuosismi, a cui si ibrida una trascinante capacità di raccontare e rapire. Un’opera dove l’erotismo è palpabile, dove il rosso del sangue significa sessualità, maturazione, ma anche morte e dolore. Un film che sconvolge, ma dotato di una travolgente ironia macabra.
“Kinds of Kindness” speciale II – L’inconscio tumultuoso della società
I personaggi di Lanthimos non sono padroni delle proprie azioni, sono schiavi delle loro angosce che li perseguitano anche nell’intimità dell’atto sessuale, rappresentato dal regista sempre come un momento disturbante in cui si esercita un rapporto di potere. Se è vero che l’arte è espressione dell’inconscio tumultuoso della società in un dato momento storico, allora si può dire che Kinds of Kindness sia il riflesso spaventoso del presente, un incubo in cui prendono forma le nostre paure più grandi.
“Il giardino delle vergini suicide” e l’adolescenza come soggettività
Ad essere in gioco è la dimensione della scelta che è negata alle protagoniste, rinchiuse in casa come la Priscilla dell’ultimo film della regista. Una scelta legata non solo alla condizione adolescenziale, ma anche, e forse soprattutto, ad una questione di genere. I personaggi di Coppola sono quasi sempre figure femminili che agiscono per raggiungere una liberazione sia fisica che spirituale.
“Confidenza” inusuale per il cinema italiano
Con Confidenza Luchetti realizza un quadro accurato della meschinità umana, di quella condizione che contraddistingue il panorama piccolo borghese italiano, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sociale. Allo stesso tempo costruisce un’opera inusuale per il cinema italiano contemporaneo, regalando al pubblico un film complesso, quasi sperimentale, soprattutto dal punto di vista estetico.
“Another End” in cerca di filosofia
Il secondo film di Piero Messina riflette nuovamente sul tema della perdita, sulla condizione universale del dolore nel momento in cui si perde una persona cara. Il mondo costruito in Another end è composto principalmente da individui fragili, incapaci di gestire la sofferenza, terrorizzati dal fronteggiare le proprie emozioni che li investono e li lasciano inermi. Così Sal precipita nell’inazione, nel vuoto proprio di chi non ha più niente per cui vivere, come se il senso della sua esistenza fosse interamente racchiuso in Zoe.
“La terra promessa” e i cowboy dello Jutland
In La terra promessa lo sguardo proiettato sulla storia è infuso da una mentalità profondamente moderna. Il titolo originale, Bastarden, è la chiave di lettura per comprendere la sfumatura che Arcel assegna al film. L’obiettivo principale, infatti, sembra quello di mostrare la possibilità di una famiglia fondata unicamente sull’amore e non necessariamente dai legami di sangue. In un momento storico in cui siamo costretti ad affrontare teorie che rilanciano presunti valori tradizionali, Arcel ci ricorda che a stabilire i legami tra gli individui è lo scegliersi reciprocamente.
“Drive-Away Dolls” Speciale II – B Movie a tinte queer
Drive-Away Dolls è il primo film di finzione di Ethan Coen senza il fratello Joel e mostra chiaramente come il suo apporto decisivo alla loro filmografia fosse soprattutto la tensione ironica, elemento imprescindibile di tutta la loro opera. Non a caso il primo film da solista di Joel, Macbeth, ne è completamente privo, modellato da un rigore formale estremo e a tratti legnoso. Nella separazione fisica dei due fratelli c’è anche una scissione estetica che rivela come le loro tematiche siano complementari e necessitino l’uno dell’altra.
“Dune – Parte due” Speciale I – Il pessimismo spettacolare
Le prime due parti di Dune sono caratterizzate da una disillusione pirotecnica, un pessimismo spettacolare che unisce gli effetti speciali da blockbuster ad un aura contemplativa e riflessiva aleggiante su un mondo allo sbaraglio. In tal senso il deserto di Arrakis, che potrebbe essere il nostro pianeta in un futuro sempre più prossimo, è uno spazio psichico, un teatro inconscio in cui possono trovare manifestazione ansie e angosce di un presente svuotato di prospettive e speranze.
“Il male non esiste” nel mondo senza redenzione
Con Il male non esiste Hamaguchi dimostra un’enorme maturità espressiva che si declina in una gestione eccellente del mezzo cinematografico e in una grandissima capacità di raccontare offrendo allo spettatore il minimo indispensabile. I dettagli, il taglio delle inquadrature, ogni elemento va al suo posto facendo apparire semplice la complessità soverchiante di questo mondo e componendo un’opera tanto suggestiva quanto rassegnata in cui non sembra esserci possibilità di redenzione, né di salvezza.