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Il franchise di “Alien” come specchio di Hollywood

Gli anni Ottanta cinematografici hanno visto l’emergere di saghe che hanno contribuito a formare l’immaginario collettivo di tante generazioni e che ancora oggi possono contare su una fanbase solida e fedele. Tra questi franchise, Alien è indubbiamente uno dei casi più interessanti, in quanto ha attraversato diverse fasi nel corso della sua storia, mutando in continuazione, proprio come la spaventosa creatura che dà il titolo alla saga.

“Alien: Romulus” una saga in un film

Alien: Romulus non inserisce esclusivamente richiami ai primi due film del franchise. A ben vedere, la pellicola si configura come una sintesi dell’intera saga di Alien, non solo come omaggio, ma come tentativo di tirare le fila dell’intera mitologia e far conciliare la tetralogia originale con i prequel di Scott. Alien: Romulus funge da ponte tra passato e futuro, tra ciò che ha avuto maggior successo nella saga e la possibilità di continuare questa storia in ulteriori film.

L’Heimatfilm nella Repubblica Federale Tedesca

Nel 1949 escono due Heimatfilm per molti versi affini. Il primo è Die seltsame Geschichte des Brandner Kaspar di Josef von Báky, tratto da una storia molto nota in area bavarese, soprattutto grazie al racconto in dialetto di Franz von Kobell. In realtà quella di Brandner Kaspar è una storia nota in tutto il mondo, raccontata nel corso della storia in molti modi diversi, quella dell’incontro con la morte in persona. Il secondo film è Caino!, primo lungometraggio di Harald Reinl, che si era formato sui set lavorando come assistente di Leni Riefenstahl.

“Die Frau am Weg” e il senso di colpa di un paese

Die Frau am Weg tematizza il periodo della presenza tedesca sul territorio austriaco in una storia che si svolge in un luogo apparentemente lontano dal dramma della guerra, le montagne del Tirolo. Qui vive Christine, insieme a suo marito, un funzionario della dogana. La sua vita tranquilla è sconvolta dall’arrivo di un prigioniero politico in fuga, ricercato dai nazisti. Christine decide di aiutarlo a fuggire oltre il confine svizzero, all’insaputa del marito. Die Frau am Weg è un film importante per l’Austria del dopoguerra, perché mette il paese di fronte alle sue colpe. Tuttavia, la posizione del film non è espressamente politica, il nazismo viene raccontato come un’entità non politica, perché non umana. 

“Die Sonnhofbäuerin” e l’Heimatfilm austriaco

Die Sonnhofbäuerin è uno dei film più rappresentativi dell’Austria del secondo dopoguerra. È anche un esempio emblematico di Heimatfilm, genere caratteristico dell’area linguistica tedesca, risalente agli anni Dieci del Novecento ma protagonista di una nuova fortuna dopo il secondo conflitto mondiale. L’esperienza bellica ha avuto effetti sulle principali cinematografie del mondo. L’Heimatfilm, anche quando prende in considerazione la guerra, predilige un racconto che si concentra su altro, su personaggi che conducono una vita semplice, umile, un richiamo ai valori che la guerra sembrava aver spazzato via.

“Life Is Beautiful” e il potere globale dei media

Life Is Beautiful diventa uno strumento per perseguire il medesimo obbiettivo: questa pellicola racconta l’esilio di un uomo e la sua impossibilità di riabbracciare i propri cari, qualcosa che non si lega esclusivamente alla Palestina – in fondo, i riferimenti alla situazione di Gaza sono ridotti al minimo indispensabile – ma che parla a un pubblico potenzialmente globale. La sofferenza di Jabaly diventa la nostra sofferenza, perché riporta alla nostra mente sensazioni che abbiamo già vissuto

“Cerchi” e le storie di chi rimane

Il documentario di Ferri racconta nello specifico la Fondazione emiliano romagnola per le vittime di reato, una realtà che da diversi anni si occupa di fornire sostegno in varie forme ai parenti di vittime di omicidio o a sopravvissuti di reati gravi. Quello che si presenta quindi come un evidente documento di promozione di questa attività riesce comunque a trovare uno spazio per raccontare le soggettività dei suoi personaggi.

“The Lost Notebook” e il cinema come impronta digitale

The Lost Notebook non racconta il cinema in quanto tale, ma quello che significa il cinema per noi. Il film di Sørensen non vuole essere un trattato di storia del cinema – anche se ogni tanto viene offerto un gradito ripasso – ma piuttosto una riflessione su come l’esperienza che noi facciamo dei film ci dica molto di noi e della società che abitiamo. Il cinema diventa innanzitutto una finestra sulla Storia.

“Furiosa” speciale I – Sovvertire le aspettative

Il film alterna all’azione momenti in cui il racconto procede con ritmo più cadenzato, in cui c’è più tempo per raccontare i personaggi, i rapporti tra di loro, con un approccio intimista che non sempre funziona del tutto. Ogni tanto questa alternanza di ritmo sembra penalizzare Furiosa, ne rende la narrazione più dispersiva e meno focalizzata. Ma è chiaro che si tratta di una precisa scelta autoriale che contribuisce a rendere questo film qualcosa di diverso dalla maggior parte dei blockbuster contemporanei.

“Dune – Parte due” Speciale II – Il simbolo del cinema contemporaneo

Dune – Parte due è un film che si rivolge ad una platea potenzialmente ampia: i conflitti più evidenti, il ricorso frequente a strutture melodrammatiche e una dimensione seriale meno aperta fanno di questa pellicola un racconto più accessibile, più compatto e, in fin dei conti, più piacevole. Tuttavia, la visione estetica che filtra ogni elemento del film fa sì che Dune – Parte due segua una direzione autoriale precisa per tutta la sua durata, ponendosi effettivamente come un blockbuster diverso.

“Finalmente l’alba” e le illusioni perdute

Finalmente l’alba, soprattutto all’inizio, sembra dialogare proprio con Bellissima: anche qui abbiamo una madre che vorrebbe vedere sua figlia entrare nel mondo dello spettacolo, ma, a differenza della pellicola di Visconti, questo è solo lo spunto iniziale per parlare di altro. Tuttavia questa prima parte sembra essere la più ispirata, quella dove Costanzo riesce a dipingere al meglio l’Italia del dopoguerra, portando avanti l’affresco storico iniziato già con L’amica geniale. 

La poetica del desiderio. Un bilancio del cinema di Matteo Garrone

Quella di Matteo Garrone è una carriera estremamente interessante da studiare in un’ottica di sperimentazione e di eclettismo. Nei suoi oltre vent’anni di carriera Garrone ha cambiato genere cinematografico molte volte, finendo così per essere associato non tanto ad una tipologia di racconto, quanto ad una precisa prospettiva artistica sul mondo. Garrone non ha studiato cinema; la sua formazione è nella pittura e ciò è evidente in tutti i suoi film.

Bahram Beyzai e la nuova soggettività femminile

La Nouvelle vague iraniana vide tra i suoi protagonisti più interessanti Bahram Beyzai. I film di Beyzai riescono a sintetizzare perfettamente le caratteristiche principali di questa nuova corrente: lo stile poetico e allegorico, l’estetica realista, l’interesse per il mondo contadino e, soprattutto, il rifiuto dello sguardo maschile in funzione di una valorizzazione della soggettività femminile.

Suso Cecchi d’Amico: saper scrivere con gli occhi

Tra gli sceneggiatori che nel secondo dopoguerra hanno dato vita al cinema neorealista e traghettato il cinema italiano verso la fortunata stagione della commedia all’italiana troviamo, accanto a Sergio Amidei, Cesare Zavattini e altri, Suso Cecchi d’Amico. Non solo una scrittrice, ma una figura in grado di supportare umanamente e artisticamente il regista con cui si trovava a lavorare. Caterina d’Amico ricorda che sua madre era solita ripetere che per scrivere una sceneggiatura bisogna essere in due: il primo scrive, il secondo è il “primo spettatore” del film. 

Per una rinascita contemporanea del cinema africano

Recenti iniziative di restauro stanno contribuendo alla conservazione e alla circolazione di gran parte del patrimonio cinematografico africano. La cinematografia africana è stata penalizzata nel corso degli anni dall’esclusione dal circuito mainstream, molto più rispetto ad altre cinematografie non occidentali. Nel corso dei decenni il cinema africano è stato al centro di molti dibattiti, soprattutto in contesti festivalieri o accademici, grazie soprattutto a studi che ne hanno analizzato le peculiarità storiche, estetiche, economiche e che ne hanno garantito la visibilità. Tra i recenti restauri se ne possono citare vari di grande interesse…

“Ladri di biciclette” attraverso l’autenticità di Roma

Come ha ricordato Caterina D’Amico, nessuno degli autori coinvolti era romano. Suso Cecchi D’Amico aveva vissuto a Roma, ma era di origine fiorentina. Eppure quella di Ladri di biciclette è una Roma estremamente autentica, viva, una Roma che esiste a prescindere dalla macchina da presa di De Sica. Vivi sono anche i personaggi, i quali hanno un passato e un futuro che non appartiene al film e che, per l’intera durata della pellicola, veicolano tutto il bagaglio culturale legato a Roma e soprattutto alle borgate del dopoguerra.

“Rapito” speciale I – Le ambizioni del cinema italiano

Sia Rapito sia Esterno notte raccontano la storia di un rapimento, di un atto di violenza verso un individuo, che è in realtà un atto politico e che si lega a doppio filo al contesto storico e socioculturale in cui avviene. Aldo Moro, martire in Esterno notte, è sostituito in Rapito dal piccolo Edgardo Mortara, ebreo sottratto alla famiglia su ordine di Papa Pio IX, per avere un’educazione cattolica. Sullo sfondo c’è il Risorgimento e la lotta contro il potere temporale della Chiesa.

“Stranizza d’amuri” e la protezione dello spettatore

Per quanto Fiorello dimostri di cavarsela dietro la macchina da presa, è evidente una certa ripetitività nella raffigurazione di quel tipo di atmosfera caratteristica di coming of age d’ambientazione anni Ottanta – in più di un’occasione la mente di chi guarda va inevitabilmente a Estate ’85 (2020) o Chiamami col tuo nome (2017) – che di certo non aiuta a caratterizzare con originalità un film abbastanza ordinario nella sua confezione.

“Mixed by Erry” e l’epica del cinema italiano

Mixed by Erry , inoltre, affronta apertamente un tema che negli altri film restava sottotraccia, il disorientamento difronte ai cambiamenti – tecnologici e/o sociali – al cospetto dei quali è necessario reinventarsi. Viene facile affiancare lo sforzo che fanno i protagonisti di questo film per reagire alle innovazioni tecnologiche allo sforzo che Sydney Sibilia e Matteo Rovere continuano a fare da diversi anni per proporre un cinema italiano nuovo, più in linea con la produzione internazionale.

“Scene da un matrimonio” 50 anni fa

L’11 aprile 1973 la SVT2, il secondo canale svedese, trasmette il primo episodio di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, serie che per le successive sei settimane avrebbe tenuto compagnia al pubblico televisivo. A cinquant’anni dalla sua messa in onda forse il lato più interessante è proprio interrogarsi sulla capacità di Scene da un matrimonio, pur nella sua singolarità stilistica e narrativa, di presentarsi come racconto universale sulle relazioni umane e dunque di farsi modello per tante altre narrazioni.