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“Dune – Parte due” Speciale II – Il simbolo del cinema contemporaneo

Dune – Parte due è un film che si rivolge ad una platea potenzialmente ampia: i conflitti più evidenti, il ricorso frequente a strutture melodrammatiche e una dimensione seriale meno aperta fanno di questa pellicola un racconto più accessibile, più compatto e, in fin dei conti, più piacevole. Tuttavia, la visione estetica che filtra ogni elemento del film fa sì che Dune – Parte due segua una direzione autoriale precisa per tutta la sua durata, ponendosi effettivamente come un blockbuster diverso.

“Finalmente l’alba” e le illusioni perdute

Finalmente l’alba, soprattutto all’inizio, sembra dialogare proprio con Bellissima: anche qui abbiamo una madre che vorrebbe vedere sua figlia entrare nel mondo dello spettacolo, ma, a differenza della pellicola di Visconti, questo è solo lo spunto iniziale per parlare di altro. Tuttavia questa prima parte sembra essere la più ispirata, quella dove Costanzo riesce a dipingere al meglio l’Italia del dopoguerra, portando avanti l’affresco storico iniziato già con L’amica geniale. 

La poetica del desiderio. Un bilancio del cinema di Matteo Garrone

Quella di Matteo Garrone è una carriera estremamente interessante da studiare in un’ottica di sperimentazione e di eclettismo. Nei suoi oltre vent’anni di carriera Garrone ha cambiato genere cinematografico molte volte, finendo così per essere associato non tanto ad una tipologia di racconto, quanto ad una precisa prospettiva artistica sul mondo. Garrone non ha studiato cinema; la sua formazione è nella pittura e ciò è evidente in tutti i suoi film.

Bahram Beyzai e la nuova soggettività femminile

La Nouvelle vague iraniana vide tra i suoi protagonisti più interessanti Bahram Beyzai. I film di Beyzai riescono a sintetizzare perfettamente le caratteristiche principali di questa nuova corrente: lo stile poetico e allegorico, l’estetica realista, l’interesse per il mondo contadino e, soprattutto, il rifiuto dello sguardo maschile in funzione di una valorizzazione della soggettività femminile.

Suso Cecchi d’Amico: saper scrivere con gli occhi

Tra gli sceneggiatori che nel secondo dopoguerra hanno dato vita al cinema neorealista e traghettato il cinema italiano verso la fortunata stagione della commedia all’italiana troviamo, accanto a Sergio Amidei, Cesare Zavattini e altri, Suso Cecchi d’Amico. Non solo una scrittrice, ma una figura in grado di supportare umanamente e artisticamente il regista con cui si trovava a lavorare. Caterina d’Amico ricorda che sua madre era solita ripetere che per scrivere una sceneggiatura bisogna essere in due: il primo scrive, il secondo è il “primo spettatore” del film. 

Per una rinascita contemporanea del cinema africano

Recenti iniziative di restauro stanno contribuendo alla conservazione e alla circolazione di gran parte del patrimonio cinematografico africano. La cinematografia africana è stata penalizzata nel corso degli anni dall’esclusione dal circuito mainstream, molto più rispetto ad altre cinematografie non occidentali. Nel corso dei decenni il cinema africano è stato al centro di molti dibattiti, soprattutto in contesti festivalieri o accademici, grazie soprattutto a studi che ne hanno analizzato le peculiarità storiche, estetiche, economiche e che ne hanno garantito la visibilità. Tra i recenti restauri se ne possono citare vari di grande interesse…

“Ladri di biciclette” attraverso l’autenticità di Roma

Come ha ricordato Caterina D’Amico, nessuno degli autori coinvolti era romano. Suso Cecchi D’Amico aveva vissuto a Roma, ma era di origine fiorentina. Eppure quella di Ladri di biciclette è una Roma estremamente autentica, viva, una Roma che esiste a prescindere dalla macchina da presa di De Sica. Vivi sono anche i personaggi, i quali hanno un passato e un futuro che non appartiene al film e che, per l’intera durata della pellicola, veicolano tutto il bagaglio culturale legato a Roma e soprattutto alle borgate del dopoguerra.

“Rapito” speciale I – Le ambizioni del cinema italiano

Sia Rapito sia Esterno notte raccontano la storia di un rapimento, di un atto di violenza verso un individuo, che è in realtà un atto politico e che si lega a doppio filo al contesto storico e socioculturale in cui avviene. Aldo Moro, martire in Esterno notte, è sostituito in Rapito dal piccolo Edgardo Mortara, ebreo sottratto alla famiglia su ordine di Papa Pio IX, per avere un’educazione cattolica. Sullo sfondo c’è il Risorgimento e la lotta contro il potere temporale della Chiesa.

“Stranizza d’amuri” e la protezione dello spettatore

Per quanto Fiorello dimostri di cavarsela dietro la macchina da presa, è evidente una certa ripetitività nella raffigurazione di quel tipo di atmosfera caratteristica di coming of age d’ambientazione anni Ottanta – in più di un’occasione la mente di chi guarda va inevitabilmente a Estate ’85 (2020) o Chiamami col tuo nome (2017) – che di certo non aiuta a caratterizzare con originalità un film abbastanza ordinario nella sua confezione.

“Mixed by Erry” e l’epica del cinema italiano

Mixed by Erry , inoltre, affronta apertamente un tema che negli altri film restava sottotraccia, il disorientamento difronte ai cambiamenti – tecnologici e/o sociali – al cospetto dei quali è necessario reinventarsi. Viene facile affiancare lo sforzo che fanno i protagonisti di questo film per reagire alle innovazioni tecnologiche allo sforzo che Sydney Sibilia e Matteo Rovere continuano a fare da diversi anni per proporre un cinema italiano nuovo, più in linea con la produzione internazionale.

“Scene da un matrimonio” 50 anni fa

L’11 aprile 1973 la SVT2, il secondo canale svedese, trasmette il primo episodio di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, serie che per le successive sei settimane avrebbe tenuto compagnia al pubblico televisivo. A cinquant’anni dalla sua messa in onda forse il lato più interessante è proprio interrogarsi sulla capacità di Scene da un matrimonio, pur nella sua singolarità stilistica e narrativa, di presentarsi come racconto universale sulle relazioni umane e dunque di farsi modello per tante altre narrazioni.

“Bussano alla porta” e il dilemma dell’ambiguità

Con Bussano alla porta (2023), adattando un romanzo di Paul G. Tremblay, Shyamalan opera sull’immaginario biblico. È quindi un film che per tutta la sua durata lavora tanto con il simbolismo e l’allegoria, con diversi gradi di intensità: talvolta la derivazione biblica è appena suggerita, altre volte sono le immagini e le parole dei personaggi ad esplicitare che ciò che stiamo vedendo è una lettura in chiave moderna di narrazioni più antiche e radicate.

“Babylon” speciale III – La fascinazione dell’immagine

Non stupisce che anche Babylon di Damien Chazelle si concentri sulle contraddizioni, già a partire da un incipit in cui esplodono l’eccesso e il grottesco dello star system degli anni Venti. Babylon, così come gli altri film di questo tipo, si può leggere anche come documento di storia del cinema, seppur tutt’altro che realistico, in grado di individuare quelli che sono stati gli sconvolgimenti produttivi di quella specifica epoca.

“Avatar –  La via dell’acqua” speciale parte I – La famiglia come motore seriale

Se a livello estetico la filosofia è ancora quella di un cinema che sia esperienza di meraviglia e che riesca a riproporre un effetto di sbalordimento sul pubblico non troppo diverso da quello dei mondi fantastici di Georges Méliès, a livello narrativo le cose si fanno più complesse. Cameron non realizza un remake del primo film, ma introduce nuove tematiche e nuovi equilibri.  Avatar – La via dell’acqua sposta l’attenzione dalla prospettiva generale ed epica del primo film alla dimensione più particolare e intima di questo sequel, in cui al centro della storia c’è il concetto di famiglia, tanto caro al cinema di Cameron.

“Pinocchio” e la disobbedienza come atto politico

Questa versione della storia è in generale un racconto di disobbedienza verso i padri, reali o figurati, che nella maggior parte dei casi rappresentano un esempio da cui allontanarsi: Pinocchio, che disobbedisce a Geppetto – un Geppetto estremamente umanizzato – che lo vorrebbe uguale al suo deceduto Carlo; Lucignolo che disobbedisce al padre fascista; infine Spazzatura, personaggio originale che si ribella ad un altrettanto originale Conte Volpe, fusione tra la volpe e Mangiafuoco. Pinocchio diventa non più un cattivo esempio da cui guardarsi, bensì un modello da seguire.

“Bones and All” tra solitudine e metafora queer

Il colpo di genio di Guadagnino – e della strategia promozionale intorno al film – sta nel sovvertire già dai primi minuti quelle aspettative e confezionare una formula che in mano a qualcun altro avrebbe potuto prendere una deriva disastrosa: Bones and all è un film che fa incontrare una storia d’amore con il cinema on the road, caratteristico della narrativa statunitense, e con l’horror, non un horror politico e sofisticato come Suspiria (2019), ma un horror molto più carnale, con rimandi a George Romero e a Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme.