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“Il ventaglio di Lady Windermere” e la commedia delle cose non dette
Gli sguardi di sottecchi, le occhiatacce, il dettaglio di un orecchio spiato attraverso un binocolo, la visione attraverso una serratura di un elaborato ventaglio che giace sul divano, l’utilizzo di monocoli, lorgnette e finestre raccontano più di quanto non sia necessario fare con le parole e nelle didascalie. D’altronde è la prova della maestria di Lubitsch che affermava: “Un film è bello quando è misterioso, con cose non dette”.
Incontro con Ruben Östlund
L’appuntamento col pubblico, della durata di un’ora, è stato un percorso di rielaborazione delle prime esperienze con il cinema e del rapporto che il regista ha con la sociologia, scienza molto spesso ricorrente nei suoi film e passione trasmessagli dalla figura materna. Dagli esordi sui campi da sci in qualità di regista di video sportivi che gli hanno permesso l’ammissione alla scuola di cinema di Göteborg (anti-bergmaniana per eccellenza, in contrapposizione alla Stockholm Film School) fino alla fascinazione-inquietudine provata durante le proiezioni dei suoi film ai festival di cinema.
I colori ritrovati di “Thaïs”
Un film leggendario, considerato perduto fino al 1938, poi a lungo fruibile solo in copie mediocri e frammentarie. Thaïs è una pietra miliare della storia del muto italiano, la cui estetica e ricerca formale ne fanno un antesiniano del cinema d’avanguardia europeo degli anni Venti. Grazie al restauro di Cineteca di Milano e Cinémathèque française, possiamo ora godere della copia parzialmente imbibita con didascalie in lingua francese, di cui si sono recuperati i colori originali degli ultimi tre atti.
“Stella Dallas” melodramma materno
Tratto dall’omonimo bestseller del 1923 di Olive Higgins Prouty e adattato da Frances Marion (sceneggiatrice di pellicole con Mary Pickford protagonista come La trovatella, Una povera bimba molto ricca e Pollyanna) il film segue la parabola discendente di Stella Dallas (Belle Bennett), una donna di bassa estrazione sociale che, in seguito alla morte del padre, sposa in fretta e furia il ricco Stephen (Ronald Colman).
“La donna di Parigi” primo Chaplin senza Charlot
Per Chaplin ne 1923 girare La donna di Parigi è l’occasione giusta per tradurre in forma metaforica le proprie ispirazioni di natura privata, pur tentando di produrre qualcosa di totalmente diverso, definito dai più un autentico film d’arte e una pietra miliare per i registi delle generazioni successive. Ambientato “nella magica città di Parigi dove la fortuna è volubile”, il personaggio della timida Marie St. Clair viene cucito su misura per l’attrice Edna Purviance, musa di Chaplin dal 1915.
“Suzume” e il terremoto nell’immaginario
Balza subito allo sguardo e all’orecchio la parola chiave che è il filo conduttore di Suzume, ultima fatica di Makoto Shinkai: terremoto. Un lutto non ancora del tutto superato quello del Grande terremoto del Giappone orientale del 2011 e ancora in corso di elaborazione dopo più di dieci anni. Se in La casa degli smarriti sul promontorio (Shinya Kawatsura, 2021) il sisma è solo il punto di partenza di un percorso di guarigione individuale, in Suzume il sottotesto traumatico viene mantenuto vivo e alimentato da un viaggio disperato contro il tempo.
Gli Oscar 2023 e la diversificazione del gusto
Se per A24 Everything Everywhere All At Once è motivo di vanto per l’ottenimento del maggior numero di premi cinematografici da un film, nonché per gli importanti incassi registrati nella sua poco più che decennale storia, è comunque chiaro che ci si trova di fronte a un definitivo riassetto delle preferenze sempre più lontane dai canoni classici dell’Oscar bait, iniziato nel 2017 con Moonlight. A causa di una sempre più innovativa qualità tecnica, di una certa commistione tra generi e una diversificazione del gusto, prevedere la vittoria di un film con certezza matematica sarà sempre più difficile.
“Il prodigio” della verità e del dubbio
Lelio ci avverte: è una storia e in quanto tale possiamo affidarci alla sospensione dell’incredulità. scegliere se crederci ciecamente, costruirci delle opinioni e, soprattutto, da che parte stare. Non c’è altro, è tutto lì. Addirittura, Lelio inizia il suo racconto svelandoci dapprima il “trucco”, con tanto di impalcature, attrezzi da set e voce off screen di Niamh Algar che sveste i panni di Kitty, sorella di Anna. Il fatto è che siamo umani ci dimentichiamo immediatamente che dietro c’è un inganno. E allora ci crediamo davvero.
“Blonde” speciale. Marilyn tra luce e buio
Al centro di tutto c’è sempre Norma Jeane. Dall’infanzia traumatica fino alla controversa morte, il viso di Marilyn Monroe è abbagliato dai flash, dalle lampade di una sala operatoria, dalla luce del sole su una spiaggia. Sempre. Nemmeno gli improvvisi passaggi al bianco e nero che Andrew Dominik impiega come lente deformante di una realtà patinata riescono ad oscurare tutto questo eccesso di luminosità. Ma poiché Blonde è un film fatto di dualismi, tra vita pubblica e privata, realtà e leggenda, vero e falso, nascita e morte, dove c’è la luce c’è anche il buio.
“Nosferatu” cento anni dopo
Nosferatu possiede un linguaggio proprio e unico, che include molti espedienti tipici del cinema dell’orrore funzionali alle emozioni dello spettatore. L’utilizzo del jump-scare (nel momento in cui viene mostrato Nosferatu nella bara), il terrore verso ciò che non si può vedere (la peste), edifici diroccati (i magazzini del sale di Lubecca), magia oscura, bestialità, ignoto. Nell’opera, non c’è spazio per alcun aspetto religioso salvifico, completamente assente: il male si può sconfiggere esclusivamente grazie a un prezzo di sangue, un prezzo umano, terreno, magico.
“Secrets of the World Industry – The Making of Cinematograph Film” al Cinema Ritrovato 2022
“Per il pubblico l’arte del Cinematografo è un mistero ed evoca la magia, ma è un procedimento scientifico che comporta vaste conoscenze e duro lavoro. Per inciso, è una delle prime industrie mondiali”. Con questa didascalia introduttiva si apre il piccolo film inglese di otto minuti Secrets of the World Industry – The Making of Cinematograph Film, una perla rara dedicata a chiunque sia appassionato di storia della tecnica del cinema. Un’occasione ghiotta per osservare un metodo di lavoro industriale che ad oggi è totalmente cambiato e che non tornerà mai più. Passo dopo passo, scopriamo le fasi di come funziona l’industria cinematografica nel 1922
“Salomé” al Cinema Ritrovato 2022
Il motivo per cui Salomé è l’ultimo film prodotto dalla Nazimova Productions è rintracciabile nell’evolversi del linguaggio stesso del cinema, che nel 1922 richiede tempi e dinamiche più rapidi, maggiori cambi di ritmo e certamente una recitazione che si avvicini quanto più possibile alla realtà. Salomé sembra non adattarsi a questa svolta richiesta dall’industria cinematografica vigente: girato in un’unica location (verosimilmente in un teatro di posa), le inquadrature sono fisse, vi sono poche vere interazioni tra gli attori e le didascalie riportano fedelmente i passi dell’opera originale, senza subire un adattamento magari di maggior comprensione per un pubblico medio.
“Die Gezeichneten” al Cinema Ritrovato 2022
Qualche anno prima dell’uscita di capisaldi del cinema come La Passione di Giovanna d’Arco (1928) e Vampyr (1932), Carl Theodor Dreyer si trovava in Germania per girare Die Gezeichneten (1922), il primo sentore di quell’estrema veridicità tipica dell’autore che esploderà poi in tutta la sua essenza nei film successivi. Il film mostra l’epica vicenda di due realtà parallele: quella di Hanne-Liebe che ama il rivoluzionario russo Sasha, e le vite dei perseguitati ebrei in Russia (“gli stigmatizzati” del titolo italiano, appunto) poco dopo la rivoluzione bolscevica.
“Aschenputtel” e l’animazione in silhouette di Lotte Reiniger
Sfidando le dure leggi dell’avvento del sonoro, la creatività di Lotte Reiniger trova nell’accompagnamento parlato e musicale un incentivo per continuare a raccontare storie e fiabe incantate tramite l’uso della silhouette, vero e proprio marchio di fabbrica. La Reiniger si dedicherà per tutta la vita alla produzione di trasposizioni di fiabe, racconti e novelle senza tempo adoperando un paio di forbicine da ricamo, un grande tavolo di lavoro illuminato dal basso e delle silhouette di cartoncino e piombo, animate poi fotogramma per fotogramma tramite l’ausilio di pinzette.
“Ménilmontant” e la lieve ma indelebile traccia di Kirsanoff
Nel cinema francese di fine anni Venti c’è un piccolo spazio dedicato al film indipendente e sperimentale di matrice tendenzialmente impressionista. Indagando meglio tra nomi come Jean Epstein, Abel Gance e Louis Delluc, spunta il caso di Dimitrij Kirsanoff, autore di origine estone destinato a lasciare negli ultimi anni di cinema muto una traccia lieve, ma indelebile. Kirsanoff impara in Francia il mestiere del cineasta, dopo essere fuggito dalla terra natia intorno al 1920. Non si avvale della collaborazione di nessuna casa di produzione o di grandi nomi, scrive da sé i soggetti, si occupa del montaggio e predilige un metraggio medio-basso, una distribuzione ridotta e l’impiego di attori perlopiù sconosciuti.
“Fresh” nel mercato degli orrori
Fresh e la carneficina che ne deriva hanno inizio a mezz’ora dai titoli di testa. La solitudine quotidiana della protagonista funge solo da prologo nel primo thriller-horror di Mimi Cave (autrice di cortometraggi e già regista di alcuni videoclip di Vance Joy), prodotto da Adam McCay e girato con la collaborazione del direttore della fotografia Pawel Pogorzelski (Midsommar – Il villaggio dei dannati), che esplode poi in un connubio di arti mozzati, cannibalismo e bisturi: di colpo, la donna è utile “per il mercato”, la sua femminilità diviene pura carne da macello da rivendere a ricchi clienti che finanziano l’industria “casalinga”.
Segni del cuore e formule da Oscar
Il Premio Oscar 2022 si incanala verso la più classica narrazione coming of age adolescenziale all’americana, dove, grazie al solito slogan “se hai talento e lotti contro tutto per realizzare i tuoi sogni, allora ce la fai”, poco importa se fino a pochi giorni prima dell’audizione alla Berklee non si sapeva leggere la musica. Semplicemente, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un prodotto dalle tante potenzialità (e altrettante possibilità di reinventarsi) esauritesi poi sul nascere di una scrittura per nulla innovativa.
La potenza del troppo – Speciale “House of Gucci” I
Si ha l’impressione che House of Gucci voglia riproporre una lettura pop-satirica un certo modo di vivere un tipo di vita (una vita per pochi) impregnata di comportamenti e personaggi eccentrici, a tratti macchiettistici e in altri casi leggeri e senza riserve; è un lungometraggio che poteva fare a meno di certi errori/orrori (ripetiamo lo scivolone di Jared Leto), di dialoghi contraddittori e inesattezze spazio-temporali, ma la cui potenzialità sta nel definirlo “troppo”. Purché se ne parli, appunto.
“The Unforgivable” e il personaggio mancato di Sandra Bullock
The Unforgivable di Nora Fingscheidt (nota per Systemsprenger, in concorso alla Berlinale del 2019), nonostante i preziosi contributi di Guillermo Navarro alla fotografia e di Hans Zimmer alle musiche, è una narrazione svuotata: scarica Sandra Bullock, non la valorizza, la indirizza molto velocemente verso il finale, e non le dà il tempo di compiere un’evoluzione. Il suo personaggio, Ruth, che immaginiamo essere pieno di complessità e sfaccettature, risulta piatto e, mancanza grave in una storia, non sembra adempiere a un cambiamento doveroso.
Zerocalcare autore totale. “Strappare lungo i bordi” e la generazione invisibile
I problemi dei “giovani d’oggi”, il precariato, gli amori confusi, la sensazione di essere mille passi indietro rispetto a chi riesce a concretizzare rapidamente le proprie aspirazioni, il futuro indefinito, la morte e il suicidio sono solo alcuni dei numerosi aspetti che Zerocalcare analizza con brutale schiettezza, calandoli uno per uno in ciascun episodio e incatenandoli a una trama orizzontale, quale percorso di crescita e di formazione dello Zerocalcare uomo e personaggio, dall’infanzia e dall’amicizia, all’età adulta e all’esperienza dell’elaborazione del lutto. La forza e il successo di Zerocalcare, autore totale, non risiedono solo nel talento artistico, immaginifico e produttivo, ma nel raccontare la nostra realtà per quella che è davvero, mai perfetta come vogliamo far credere.