Archivio
“La caduta della casa Usher” al Cinema Ritrovato 2021
Dice Jean Epstein: “In preparazione di un film di Poe, l’obiettivo primario è quello di mettere insieme (non senza difficoltà) una tecnica immensa e singolare. Avendo raggiunto questo, e con le immagini a disposizione per dare senso, si può vedere che, così come per Poe, oggi la tecnica può giacere quasi completamente tra le immagini”. L’opera cardine di Epstein, La caduta della casa Usher del 1928, ispirata all’omonimo racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe, è un’esperienza sensoriale totalizzante. Chi scrive ha avuto la fortuna di fruire il film senza l'”aiuto” e il sostegno di un accompagnamento musicale registrato o dal vivo. Una colonna sonora era stata effettivamente pensata da Epstein e in seguito divenuta realtà grazie al lavoro di montaggio compiuto dalla sorella Marie poco dopo la morte del regista.
“The Loves of Carmen” al Cinema Ritrovato 2021
Nel tristemente famoso grande incendio datato 9 luglio 1937 del magazzino di pellicole Fox a Little Ferry, New Jersey, 40.000 rulli di negativi e positivi vanno persi per sempre. Tra questi vi è The Loves of Carmen del 1927, diretto da Raoul Walsh con Dolores Del Río, parte del trittico delle divine messicane insieme a María Félix e Silvia Pinal. Per nostra fortuna, ci è giunta l’unica copia nitrato, mancante di alcune scene, reperita dal Národní Filmovy Archiv di Praga negli anni Settanta. Precursore muto dell’omonimo sonoro del 1948 con Rita Hayworth, The Loves of Carmen è solo una delle tante trasposizioni cinematografiche delle vicende della gitana spagnola, tratte dalla novella Carmen (1845) di Prosper Mérimée divenuta poi particolarmente popolare grazie all’opera di Georges Bizet.
Le piccole gemme di Winsor McCay
Ci sono tre piccole gemme nascoste nel grande scrigno del cinema muto d’animazione e lo dobbiamo al fumettista e illustratore Winsor McCay. Il papà di Little Nemo, serie a fumetti nata nel 1905 che illustra le mirabolanti avventure nel mondo dei sogni di Nemo, un bambino di cinque anni, si dà all’animazione traendo spunto da un altro suo lavoro a strisce e balloon pubblicato dal 1904 al 1913 intitolato Dream of The Rarebit Fiend. Il titolo è difficilmente traducibile in italiano (si azzarda con un “Sogni di un divoratore di crostini”): il Welsh Rarebit è una leccornia di origine gallese, una specie di crostino inzuppato nel formaggio fuso che crea una sorta di dipendenza e porta all’indigestione, mentre fiend significa “demone”, quindi “incubo”.
“Belphégor” al Cinema Ritrovato 2021
Il celeberrimo fantasma del Louvre spaventò davvero il pubblico (e come dar loro torto) di fine anni Venti e lo fece appassionare altrettanto, tanto che alla fine di ogni proiezione (“Belfagor vi aspetta settimana prossima per il terzo episodio!” recitava l’ultima didascalia in chiusura) molti spettatori si rivolgevano agli attori presenti in sala, supplicandoli di rivelare in anticipo chi si nascondesse sotto la spaventosa maschera dell’antagonista mascherato. Non era ancora tempo dei media digitali, d’altronde, non vi era pericolo di spoiler sui social media e i cliffhanger alla fine di ogni episodio facevano il loro dovere, caricando di una gran bella dose di suspense la lunga pausa settimanale tra un film e l’altro.
“Miss Lulu Bett” al Cinema Ritrovato 2021
Il tutto viene diretto da William C. deMille, fratello maggiore del ben più famoso Cecil, formatosi come drammaturgo e salito alla ribalta di Hollywood nel 1914 con The Only Son. Completamente diverso (e forse per questo oscurato) dal fratello che predilige la scrittura di film sontuosi e spettacolari, deMille Sr. scrive film che possono trasmettere al pubblico determinati valori morali. In Miss Lulu Bett, deMille viene affiancato da Clara Beranger, scrittrice e sceneggiatrice con cui stringe un sodalizio professionale e di vita, e dirige per la quarta volta Lois Wilson, a cavallo di un periodo fondamentale per i movimenti del suffragio femminile, particolarmente attivi nel corso dei primi anni Venti, nel ruolo di una pioniera della ribellione femminile verso obblighi sociali ingiusti e tossici.
“Séraphin ou les Jambes Nues” al Cinema Ritrovato 2021
Prodotto da Gaumont e lungo 34 minuti, Séraphin ou les Jambes Nues è il più rocambolesco, pazzo ed esagitato “episodio” della serie che mette buon umore. Biscot/Séraphin è l’impeccabile e compìto direttore di una compagnia di assicurazioni che, poco prima di iniziare una giornata di lavoro qualunque e dopo aver congedato la consorte (Lise Jaux) un po’dura d’orecchi, si ritrova accidentalmente senza pantaloni. Pur di riottenere il prezioso e necessario capo d’abbigliamento, Séraphin si imbatte in continui giochi di equivoci, scambi di persona e gag slapstick del tutto conformi a un certo tipo di cinema comico più commerciale (non a caso Biscot viene scoperto anni prima da Jacques Feyder mentre esegue sul palco una perfetta imitazione di Chaplin), senza però tralasciare quell’aspetto “teatrale”, da vaudeville, che ben si bilancia tra il malizioso e il leggero.
Storia dei primi archivisti. La collezione Tomijiro Komiya
Così, se a Komiya va il merito di essere uno dei primi archivisti privati della storia del cinema, è anche vero che qualcuno, decenni dopo, ha dovuto compiere un’ulteriore impresa di salvataggio di tutte quelle pellicole che, presto o tardi, si sarebbero trasformate in polvere. Ce lo insegna N. 9654, la raccolta di frammenti più significativa, curata e montata da Hiroshi Komatsu (National Film Archive of Japan) che nel 1988 apre la “scatola delle meraviglie” donatagli dal figlio di Komiya, Takashi. All’interno trova, per la maggior parte, copie lacunose di film, molte (troppe) irrecuperabili e ridotte in grave stato di decomposizione. Komatsu cerca di salvare il salvabile e taglia e cuce decine di frammenti, unendoli in quello che è diventato una specie di album di famiglia mondiale della durata di 21 minuti. Vediamo e riconosciamo volti familiari come quelli di Pina Menichelli, Diana Karenne, Gigetta Morano ed Eleuterio Rodolfi, gustiamo un repertorio di brevi scene di genere storico, onirico, idilliaco, sacro e sociale, avvicinandoci verso il finale celebrato da una rapidissima e luminosissima catena di fuochi d’artificio formata da intertitoli e didascalie.
“Being My Mom” e la costrizione poetica
L’opera prima alla regia di Jasmine Trinca, attrice a trecentosessanta gradi tra cinema e televisione, è un panorama (ritratto non sarebbe del tutto la definizione giusta) di due donne, madre e figlia, che non si servono di parole. Difatti, tralasciando qualche rumore di fondo e una sonora risata iniziale, non vi sono dialoghi o enunciati verbali. Potrebbe assomigliare quindi a un film muto? Secondo Trinca assolutamente sì, in quanto si ispira effettivamente alle opere buffe e alle produzioni di tanto tempo fa, confermando quanto la condivisione dei silenzi e delle parole non dette, sia molto spesso necessaria.
“Theodor” e il libero linguaggio del cinema
Con una naturalezza incredibile, il film non è solo il racconto su Theodor, ma con Theodor: la videocamera rudimentale che Maria gli dona per le riprese (inizialmente per gioco, poi la cosa si fa seria) è il più che spontaneo prolungamento del suo corpo frenato da un disturbo dello sviluppo psicomotorio per cui non è in grado di camminare e muoversi in libertà. E allora Theodor colma questa mancanza con una visione del suo mondo mai banale, del tutto semplice ma costruttiva, per mezzo di una camera a mano, strumento comunque impegnativo per un bambino della sua età.
Una riflessione sulle Giornate del Cinema Muto 2020
I primi dieci giorni di ottobre del 2020 vedono per le Giornate del Cinema Muto un cambiamento particolare: una dieci giorni di film, masterclass e conferenze trasmesse online. I film iniziano, la magia si compie. L’offerta delle Giornate di quest’anno non è cospicua (viene proiettato un film al giorno), ma questo naturalmente non significa che non sia all’altezza. È bello trovare nomi familiari come Cecil B. De Mille, Georg Wilhelm Pabst, Stanlio e Ollio, Mary Pickford, Colin Campbell. Ma è altrettanto interessante scoprirne di meno noti: i nostri Carlo Campogalliani e Letizia Quaranta, Dimitrios Gaziades, Holger-Madsen, Luo Mingyou, Zhu Shilin.
“Io…e l’amore”, l’ultimo capolavoro di Buster Keaton
Io…e l’amore rimane l’ultimo grande capolavoro di cinema e comicità di Buster Keaton. Il sonoro lo trae in inganno e lo allontana definitivamente dal modo di fare cinema a cui era abituato fino a pochi anni prima. Incomprensioni con la MGM lo portano a non essere più nemmeno preso in considerazione e a rimanere relegato a ruoli macchiettistici perdendo tutte quelle libertà decisionali a cui era abituato. Inizia così il declino della carriera di Keaton alternata da problemi di alcolismo e frequenti flirt con tante colleghe, declino che viene ricordato da Keaton stesso come uno dei più bui della sua vita e da cui saprà rialzarsi, adeguandosi ai nuovi prodotti e ai nuovi costumi che esige il flusso del cinema.
“Erotikon” al Cinema Ritrovato 2020
Considerato da molti la prima commedia sofisticata svedese, Erotikon di Mauritz Stiller (fautore del successo di Greta Garbo negli Stati Uniti) è il ritratto borghese del gioco di seduzione e di equivoci fra coppie che si slegano e si attorcigliano in un nodo degli inganni e dei sotterfugi compiuti apparentemente ai danni di tutti. Prodotto nel 1919, sei anni prima del capolavoro I Cavalieri di Ekebù (Gösta Berlings saga, 1924, ufficiale debutto al cinema della Garbo), il film è liberamente ispirato alla piéce teatrale A Kék róka (La volpe azzurra, 1917) del drammaturgo ungherese Ferenc Herczeg e vede già dall’inizio vincitrice assoluta la bella Irene (Tora Teje), moglie di un professore universitario ossessionato dal comportamento degli scarabei e soprattutto dalla loro vita sessuale.
“Justitia” al Cinema Ritrovato 2020
Ci sono personalità nel cinema muto che spuntano all’improvviso e poco dopo scompaiono misteriosamente nel nulla senza lasciare traccia. Non si sa praticamente niente dell’attrice appartenente al filone italiano delle forzute, risposta un po’ tardiva alla ben più nota corrente statunitense capitanata da Pearl White, dove appaiono qua e là nomi come Linda Albertini, Ethel Joyce, Gisa-Liana Doria e Piera Bouvier. Forse nobildonna veneziana, Astrea appare in qualche fotografia sulle riviste d’epoca e in quattro film, uno intitolato La Riscossa delle maschere (Leopoldo Carlucci, 1919) e tre diretti da Ferdinand Guillaume alias Polidor/Tontolini Justitia (1919), L’Ultima fiaba (1920) e I Creatori dell’impossibile (1921), dopodiché di lei non si hanno più notizie, tantomeno dati biografici. Con questi pochissimi film di cui ora siamo a conoscenza, Astrea contribuisce ad estendere l’idea di una femminilità tosta e intrepida che conserva però ancora quel tocco di garbo e classe, tutte qualità in cui le donne spettatrici nei cinema italiani dei primi anni Venti possono forse rispecchiarsi per poi sognare un po’di più.
“Delitti imperfetti”, imperfetti frammenti
I muti della sezione “Delitti imperfetti” al Cinema Ritrovato 2020 sono un gruppo di film di genere crime di durata molto breve, alcuni con un titolo provvisorio, altri di cui non è stato possibile attribuire il regista, diversi il cui anno di produzione risulta sconosciuto. Ognuno di loro (Idolo infranto, Nina la Poliziotta, Il Re dell’Abisso, Il Passato che ritorna, ecc.) così come è stato presentato in sala, è un frammento di film. Un frammento di film è materialmente un oggetto fisico che nella sua interezza dovrebbe completare un racconto e darvi un senso; idealmente, un frammento è un documento e solo trattando il frammento di film come tale siamo in grado di porci delle domande. Da dove viene? A quale film appartiene? Lo conosciamo già? Siamo in grado di riconoscerlo? È lacunoso? Abbiamo delle fonti che possano testimoniare e confermare l’esistenza del film?
Oltre il divismo: Diana Karenne in “Miss Dorothy”
Diana Karenne è una delle più grandi esponenti del sistema divistico del cinema muto italiano, sebbene abbia saputo ritagliarsi una carriera parallela, “altra” dalla diva dedita al perbenismo e alla mondanità, come donna emancipata e dotata di una particolare intelligenza, colta, con uno spiccato interesse verso la pittura, la musica e la letteratura. I primi anni Venti sono gli ultimi che trascorre in Italia dopo una ricca e fruttuosa filmografia di cui spesso è anche regista e sceneggiatrice. Ad oggi risulta impossibile dare un giudizio critico o comunque costruire una documentazione precisa riguardo suoi lavori da regista, poiché di questi e di molte altre opere di cui fu interprete non vi resta purtroppo alcuna traccia. Dopo Miss Dorothy e qualche altro film con Antamoro, Diana Karenne fugge dalla grave situazione di crisi che ha investito il cinema italiano. Si unisce a dei cineasti russi e si trasferisce in Francia e Germania dove conclude la sua carriera con l’arrivo del sonoro.
“Les travailleurs de la mer” al Cinema Ritrovato 2020
I sei quadri che Antoine scrive sono per la maggior parte inquadrature girate in esterno con il mare che funge da presenza eterna e testimone delle vicende umane che si consumano a Camaret-sur-Mer: menzogne, amori segreti, invidie, questioni di avarizia e morte. La morte, nel sesto ed ultimo quadro La grande tomba, è pura tragedia: superate le prove dettate dalla natura, Gilliat torna faticosamente nella società, convinto di sposare finalmente Deruchette; un’ultima prova, quella del dolore, infattibile da superare, insopportabile. Gilliat si lascia andare allora nell’elemento che più lo ha ascoltato e che non lo ha mai giudicato, il mare che in un’ultima inquadratura si conferma il vero vincitore morale della storia di Les travailleurs de la mer, totalmente al di sopra dei sentimenti e sopra un’amore che non sarebbe mai potuto comunque esistere.
“Conchita” al Cinema Ritrovato 2020
Il tempo e lo spazio trovano la loro completezza nella danza sfrenata corporea fulcro del vero essere di Conchita, danza guidata dalla fotografia morbida di Louis Chaix che ammorbidisce i tratti, protagonista, fulcro degli eventi e pura forma d’arte nell’arte di plasmare gli uomini a proprio piacimento nella consapevolezza di un corpo che diventa scultura in movimento che si presta agli occhi, che incanta e conquista. Una danza che si presta ancora di più all’autenticità nella lunga scena di nudo integrale, quale culmine artistico delle inquadrature condotte dalla regia di Baroncelli.
“Come vinsi la guerra” e il cinema puro
Qui il Keaton che tutti conosciamo sviluppa pienamente tutte le sue meccaniche della comicità fresca e intelligente che nell’opera del 1926 raggiunge l’apice della storia diventando il film cardine della sua intera e lunga carriera. Considerato uno dei cento migliori film americani di tutti i tempi, Come vinsi la guerra non ha bisogno di ulteriori presentazioni, se non l’ulteriore appunto che, per un film molto difficile da realizzare, tutto quello che vediamo sullo schermo è vero, senza trucchi, stunt, modellini, effetti speciali o qualunque altro prodotto di finzione. con la chiara consapevolezza che tutti gli equilibri del suo dinamismo corporeo, le locomotive, le scenografie, i costumi, le comparse sono frutto di una precisissima volontà alla fedeltà della storia, Come vinsi la guerra assume lo status di puro cinema che segue le linee di una geometrica unica.
Ruth Roland, donna coraggiosa al Cinema Ritrovato 2020
Nel complicato puzzle dei serial statunitensi in cui donne coraggiose, ardite e tenaci come Pearl White, Mary Fuller, Helen Holmes e Ann Little hanno un ruolo degno delle più grandi locandine, anche Ruth Roland trova un posto tutto suo sul finire degli anni Dieci. Nata a San Francisco nel 1892, Roland occupa una parte di rilievo nel suo primo lungo serial di quattordici episodi (ad oggi tutti perduti) The Red Circle (1915). Dopodiché non abbandona mai le interpretazioni in film western e serial d’avventura fino al 1930, anno tragico per molte stelle del muto che rinunciano alla loro carriera per amore di un cinema vero, ritornando alle origini del palcoscenico teatrale fino alla morte prematura nel 1937.
Prova d’orchestra per il futuro. “The Saphead” con Buster Keaton
Cento anni fa, nel 1920, la rivista Variety riporta nero su bianco un breve riferimento a Buster Keaton sottolineando come “la sua interpretazione flemmatica in questo film è una rivelazione”. La critica si rivolge direttamente a The Saphead, film tratto dallo spettacolo teatrale The New Henrietta (1913) con William H. Crane e Douglas Fairbanks, nonché debutto al lungometraggio di Keaton prima di porsi l’anno successivo dietro la macchina da presa (in qualità di interprete, sceneggiatore e regista) e immediatamente dopo la lunga esperienza al fianco di Roscoe “Fatty” Arbuckle, che lo consacra direttamente al genere slapstick.