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“Il cacciatore” e il cinema tra ragione e follia

Michael Cimino, come in altre occasioni durante la sua carriera, non ebbe vita facile durante la lavorazione de Il Cacciatore. Le difficoltà produttive furono varie, la ricerca delle location in Thailandia fu molto complessa, le condizioni climatiche a volte sfavorevoli rallentavano la lavorazione e ci fu un colpo di Stato durante le riprese, anche se questo non portò seri problemi in quanto il comitato rivoluzionario garantì la sicurezza della troupe. In aggiunta vi furono lotte tra la produzione e Cimino che, “come Penelope”, di notte reintegrava le parti mancanti.

“Quei bravi ragazzi” e il lato umano del crimine

Quando uscì fu un’opera che si poneva al di fuori degli stilemi tipici del genere.  Quei bravi ragazzi in qualche modo segna e modifica il modo di fare il cinema gangster. Molto di quel che è venuto dopo è stato influenzato dai goodfellas di Scorsese,  tra tutte la dichiarata ispirazione che spinge David Chase, showrunner de I Soprano a pensare una intera serie televisiva a partire da questa rappresentazione della criminalità organizzata.

“Canoa” al Cinema Ritrovato 2022

Canoa è un film che nel corso della sua narrazione assume forme differenti, dal cinegiornale all’horror passando per la via del falso documentario, mescolandole all’evenienza e non segue una linea temporale consecutiva. Un film duro e faticoso: Cazals decide di girare in un villaggio molto simile e vicino a San Miguel di Canoa e di avere sul set in ogni giornata di riprese i superstiti, per restituire una ricostruzione storica il più veritiera possibile.

“Il mistero delle cinque dita” al Cinema Ritrovato 2022

Ci troviamo davanti ad un horror con budget da B-movie che diventerà un cult nel tempo. Robert Florey, autore eclettico, gli conferisce un tono quasi espressionista, soprattutto nei momenti più visionari. Il mistero delle cinque dita è stato l’ultimo film di Peter Lorre alla Warner Bros. in un periodo difficile della sua vita e carriera: la dipendenza da morfina lo rendeva un attore con cui non era facile lavorare e le sue idee di sinistra non aiutavano di certo all’inizio della caccia alle streghe. Nonostante comparirà ancora in tanti film, questa in qualche modo può essere considerata una delle sue ultime grandi interpretazioni

“De cierta manera” al Cinema Ritrovato 2021

De cierta manera vuole essere una panoramica sulla situazione post rivoluzionaria dei primi anni ‘70 a Cuba attraverso la storia di Mario e Yolanda e delle persone che gravitano attorno a loro nel barrìo degradato di Miraflores alla periferia de L’Havana. Il film sta a metà tra finzione e  documentario cercando di riflettere sulla marginalità sociale, sui problemi che riguardavano i progetti abitativi ed educativi, sulla delinquenza, l’analfabetismo, il divario tra classi sociali e sul machismo imperante che si ripercuote in tutte le dinamiche quotidiane. E lo fa attraverso i suoi personaggi principali, Yolanda e Mario.

“Sambizanga” al Cinema Ritrovato 2021

Tratto dal romanzo La vita vera di Domingos Xavier di Josè Luandino Vieira che fu tradotto in francese da Mario De Andrade, primo presidente del MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola), nonché compagno di vita della regista Sarah Moldoror, Sambizanga si presenta anche come un film molto intimo e personale infatti, come sottolineato dalla figlia Annouchka De Andrade, sembra che la vicenda di Maria e la vita di Sarah si intreccino, “la coscienza politica; la lotta da sola con i suoi figli, la morte del compagno per ragioni politiche; ma soprattutto la perseveranza, il continuo avanzare malgrado gli ostacoli”. Siamo di fronte ad un’opera sostanziosa e importante sia da un punto di vista tematico che estetico, poiché in soli 96 minuti riflette alla perfezione le dinamiche che ruotavano attorno a quei duri anni di cambiamento e sofferenze.

Mara Blasetti e Giuditta Rissone. Storia delle donne del cinema italiano

Come sempre al Cinema Ritrovato è possibile rivedere e rivivere le carriere di grandi del cinema del passato, ma anche approfondire le vite di personalità altrettanto importanti per la settima arte, ma meno conosciute. E forse tale risvolto rende ancor più prezioso questo festival. Stiamo parlando di film come Ritratto di Mara Blasetti e Mia madre, Giuditta Rissone, il primo diretto da Michela Zegna e il secondo da Anna Masecchia e Michela Zegna. Entrambi i lavori sono stati concepiti a partire da materiale d’archivio, ma l’intenzione delle autrici è stata quella di renderli fruibili e appetibili a tutti e non solo a chi frequenta ambienti accademici o cinetecari. E sembrano esserci riuscite.

“Sepa: Nuestro Señor de los milagros” al Cinema Ritrovato 2020

Che cos’è la giustizia? È la domanda principale che ci e si pone l’importantissimo documentario di Walter Saxer. Sembra palese che l’intento degli autori non sia quello di sostenere tesi, ma di documentare una realtà alternativa, facendo crescere nello spettatore interrogativi sulle condizioni dei detenuti a Sepa, ma anche in ogni altra parte del mondo. Se da una parte il film testimonia quanto il progetto di Sepa sia innovativo, dall’altra si scontra con il muro dell’arretratezza burocratica e della corruzione di un Paese come il Perù di metà anni ’80. Gli abitanti del carcere vennero completamente isolati e dimenticati dal resto del Paese e molti, dopo aver ampiamente scontato la propria pena, rimasero lì a lungo a causa di falle amministrative, ma soprattutto della noncuranza e totale assenza di considerazione verso queste persone, mai realmente considerate tali.

“Gomorra” tra passato e presente

Non c’è mai una via d’uscita o una possibilità di cambiamento, tutti i personaggi centrali alle quattro storie narrate vivono all’interno di un universo che non lascia scampo, né scelta. O meglio la scelta c’è e sta tra la vita criminale che non porterà altro che morte e tradimento e il vivere una vita di patimenti e vessazioni lontano dalla camorra. Forse il più grande pregio di Gomorra è stato l’essere in grado di mostrare il problema di questa terra su di un livello locale, dove tale sistema marcio si pone come unica opzione di vita possibile, ma anche di portarlo altrove, alle aziende del Nord Italia e all’alta moda mondiale, ad una dimensione glocal che è proprio quella che conferisce a tali organizzazioni un grandissimo potere economico e criminale.  Citando Garrone, in collegamento telefonico con il pubblico dell’Arena Puccini, chi ha amato il film nel 2008 continuerà ad amarlo in questa versione, che è solamente un po’ più esplicativa, ma mantiene lo stesso identico impianto della versione precedente.

 

“We Are Russia” a Visions du Réel 2020

La Compétition Internationale Moyens et Courts Métrages di Visions du Réel 2020 propone il bel documentario di Alexandra Dalsbaek, We Are Russia, girato tra il 2017 e il 2018, riguardante le vicende legate alle elezioni russe del 18 marzo 2018. Il film segue un giovanissimo gruppo di attivisti (tutti tra i 16 e i 24 anni), cresciuti all’ombra di Putin e sostenitori del suo oppositore principale nella campagna elettorale: Aleksej Naval’nyj, che sarà poi escluso dalla candidatura, ufficialmente a causa di varie condanne, ma più verosimilmente per la forte opposizione al regime autoritario di Putin, il quale lo fece arrestare più volte nel corso del 2017 per aver sostenuto manifestazioni non autorizzate dal governo.

“Punta Sacra” a Visions du Réel 2020

In questa particolare edizione di Visions du Réel trova spazio l’opera seconda di Francesca Mazzoleni, cineasta catanese classe 1989 proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Punta Sacra è quel luogo situato nella striscia di terra alla foce del Tevere, dove il fiume si riversa in mare e dove, da circa 60 anni, si trovano le abitazioni dell’idroscalo di Ostia. Nel 2010, in seguito a un’ordinanza comunale, sono state abbattute circa la metà delle abitazioni ed ora ne rimane una comunità di 500 famiglie che lottano quotidianamente per rimanere ancorate ai propri luoghi d’origine. Il film ha avuto una gestazione molto lunga, il primo contatto con la comunità è avvenuto circa otto anni or sono, quando l’autrice frequentava il CSC ed era alla ricerca di location per il suo primo cortometraggio. Lì è scattata la scintilla.

“Enigma” a Gender Bender 2019

Enigma è composto da quadri fissi, statici che restituiscono allo spettatore la lunga e atroce sofferenza di una famiglia che per otto anni è stata costretta a vedere impunito l’omicidio della figlia e ad abbassare la testa, accettando la situazione come se fosse normale, forse perché considerato un crimine di seconda categoria. Spesso la macchina da presa di Juricic osserva pudicamente i personaggi da lontano nella loro quotidianità, altre volte si avvicina molto sovraffollando i quadri di volti femminili e altre ancora spacca letteralmente in due l’inquadratura allontanando i personaggi nelle loro divergenze, il tutto senza l’utilizzo della musica e dando spazio minimo all’uomo, che è sempre ripreso lateralmente, di schiena o non perfettamente a fuoco, portando avanti una evidente critica alla società patriarcale.

“El Principe” a Gender Bender 2019

Opera prima del 46enne scenografo Sebastian Muñoz, El Principe arriva a Gender Bender dopo aver vinto il Queer Lion 2019 alla Settimana della Critica, durante la 76esima Mostra del Cinema di Venezia e dopo essere stato presentato nella sezione Horizontes Latinos al festival di San Sebastian. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Mario Cruz, narra la vicenda di Jaime (Juan Carlos Maldonado), giovane tormentato dall’impossibilità di esplicitare le proprie pulsioni sessuali verso il migliore amico, per il quale ha una vera e propria ossessione. Durante una serata piuttosto alcolica la situazione gli sfuggirà di mano e lo ucciderà ferendolo alla gola con i cocci di una bottiglia di birra. E proprio qui comincia il film, con l’ingresso in carcere del ragazzo che sancirà definitivamente la sua formazione umana e sessuale, grazie soprattutto a un decano chiamato El Potro (letteralmente il puledro, ma in italiano tradotto lo stallone) interpretato dal solito, impeccabile, Alfredo Castro.

“La muerte de un burocrata” a Venezia Classici 2019

La muerte de un burocrata è uno dei gioielli del cinema cubano, un film in cui si ride molto, ma lo si fa in maniera intelligente e con un tocco di amarezza. La forte critica satirica alla società cubana post rivoluzionaria proviene da esperienze personali dell’autore: “Ho deciso di realizzare il film per esperienza personale. Può succedere a chiunque. Sono stato improvvisamente catturato nei labirinti della burocrazia da alcuni problemi molto semplici ed elementari che volevo risolvere. Ho perso molto tempo e ho deciso di rendere giustizia con le mie mani…”. Così come l’ironia verso l’arte al servizio della rivoluzione può essere letta come critica a quei compagni dell’Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográfica con i quali il regista era in aperta polemica perché, secondo lui, colpevoli di aver perso di vista un certo tipo di valori cinematografici per dedicarsi a un cinema schematico e fondamentalmente propagandistico.

“Fulci for Fake” a Venezia 2019

Simone Scafidi racconta un altro uomo e la sua vita e questa volta l’omaggio è verso colui che con il suo cinema lo ha spinto a divenire regista: Lucio Fulci. Il titolo wellesiano dichiara tutta la particolarità di questo documentario che parte con un taglio di finzione in quanto Nicola Nocella interpreta un attore che si sta preparando ad interpretare Fulci in un biopic diretto da un regista immaginario di nome Saigon. Questo è il pretesto per poi spostarsi sul reale interesse del film: indagare la personalità del compianto autore romano attraverso immagini perlopiù inedite, interviste e (poche) sequenze dal suo cinema.

“Estasi di un delitto” a Venezia Classici 2019

Buñuel mette assieme quello che è considerato uno dei momenti più felici della sua filmografia messicana nel tentativo di apportare una forte critica nei confronti della borghesia del periodo, ma in generale delle istituzioni e del cattolicesimo, culto colpevole di instillare quell’ipocrita senso di colpa che porterà il protagonista a considerarsi unico responsabile dei decessi delle donne. Ma oltre al senso di colpa in Arcibaldo si annida la frustrazione di non essere in grado realmente di uccidere (sarà in grado solamente di bruciare il manichino fatto a immagine e somiglianza di Lavinia, una delle potenziali vittime) e il gesto di consegnarsi può anche essere letto come una rivendicazione di abilità, sessuale e poi criminale, almeno agli occhi della società.

Ancora su “Crisis” e la catastrofe europea

La cosa che più sorprende in questo primo reportage documentaristico sull’incombente catastrofe europea realizzato da Herbert Kline e Alexander Hackenschmied (fu seguito nel 1940 da Lights Out in Europe, incentrato sull’invasione della Polonia, restaurato dal MoMA e proiettato al Cinema Ritrovato nel 2018) è la lucidità e la chiarezza con le quali percepisce il pericolo imminente e gli inverosimili tentativi di Hitler di nascondere quella volontà di autoritario dominio che aveva già palesato con l’Anschluss l’anno precedente e che porterà al secondo conflitto mondiale qualche mese dopo con l’invasione della Polonia.  In fondo stava già tutto scritto nel Mein Kampf, sembrano voler dire gli autori, che producono un’opera di rara precisione e qualità non solo storica, ma anche estetica.

Mamma Italia. “La passione di Anna Magnani”

Presentato in anteprima mondiale nella sezione Cannes Classics lo scorso maggio, vedremo al Cinema Ritrovato 2019 questo commovente omaggio ad Anna Magnani, attrice romana che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città, una Roma vista come Lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca, … e potremmo continuare fino a domani mattina.  “La verità che si cerca la Magnani la offre, perché è il suo modo di essere, il suo modo di esistere. Per me quella è la cosa più importante che lei porta sul teatro, è una nuova dimensione, una dimensione reale che non è realistica però, perché Anna Magnani lavora con un mestiere molto preciso e molto competente. Non è mai sciatto o casuale quello che fa, è sempre sostenuto da un forte istinto professionale. Lei riesce ad ottenere quel miracolo raro di professionalizzare la verità” (Franco Zeffirelli).

“Selfie”: Napoli e le periferie del mondo

Il fatto che le immagini siano prodotte dagli stessi protagonisti in maniera relativamente spontanea è forse ciò che permette al film di catturare al meglio la positività e la bellezza che esiste all’interno del quartiere e al contempo le contraddizioni di un mondo dove l’istituzione è assente o negligente e nemmeno i genitori hanno gli strumenti per aiutare i propri figli. Un mondo circondato da mura ideali, che paiono invalicabili, al di là delle quali, con la forza di volontà e un po’ di immaginazione si può riuscire a vedere oltre. 

“La città nuda” a Venezia Classici 2018

Come altri autori e film del periodo (1948) a La città nuda e al suo regista non fu riservato un trattamento troppo dolce. Jules Dassin fu uno di quei registi la cui carriera venne pesantemente condizionata dal maccartismo e dalla conseguente caccia alle streghe, mentre il film non andava troppo a genio al produttore, Mark Hellinger, che decise di metterci mano e rimontarlo. Probabilmente si deve a questo intervento esterno la voce narrante, che da più parti critiche è stata considerata il punto debole di un film che sarebbe potuto essere un grande capolavoro. Alla visione odierna sembra invece che la scelta di utilizzare un commento esterno e onnisciente riesca a conferire ulteriore particolarità alla pellicola, in quanto a volte pare fungere da coscienza dei personaggi, consigliando la strada migliore da percorrere. Questa voce spesso sarà ignorata dai personaggi, regalando un lato ironico alla narrazione.