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“Amma ariyan” e “Elippathayam” al Cinema Ritrovato 2021

La retrospettiva del Cinema Ritrovato sul parallel cinema si conclude con Amma ariyan (Report to mother) e Elippathayam (Rat-trap), due film complementari che interrogano i temi della volontà umana e della partecipazione. Amma ariyan è soprattutto un film di mobilitazione, in cui spicca peraltro un brillantissimo monologo sulle responsabilità degli intellettuali apolitici, a cui fa da contraltare Elippathayam, un’opera sui rischi connessi al disimpegno.

“L’ultima tappa” al Cinema Ritrovato 2021

Il campo di concentramento di Auschwitz non era più in uso da appena tre anni quando la regista Wanda Jakubowska decise di tornare nel luogo in cui era stata imprigionata per girare L’ultima tappa, che sarebbe poi diventato il suo film più celebre nonché uno dei primi sul tema dell’olocausto. Oltre alla regista anche diversi degli interpreti e la sceneggiatrice Gerda Schneider vi erano stati rinchiusi, e per ricercare ulteriori elementi di veridicità furono usate come costumi delle vere divise dei prigionieri. Le azioni dei personaggi sono orientate in due direzioni: la sopravvivenza quotidiana e la ricerca di una via di fuga. Alla regista, infatti, interessa soprattutto mostrare la tenacia delle donne internate, che cercano di organizzarsi internamente al campo ma anche di tenere d’occhio lo stato della guerra sul fronte orientale, poiché la loro più concreta possibilità di salvezza è l’avanzamento dell’esercito sovietico.

“Bhumika” e “Kummatty” al Cinema Ritrovato 2021

Gli anni Settanta furono un periodo difficile per l’india: iniziati con la guerra contro il Pakistan, attraversati da forti repressioni governative che portarono alla sconfitta elettorale di Indira Gandhi, al potere da oltre dieci anni, e con essa un ulteriore periodo di incerta transizione. A modo loro sia Bhumika (The Role) che Kummatty (The Boogeyman) sono figli di quei tempi ansiogeni e riflessioni sul valore della libertà. Bhumika è basato sull’autobiografia dell’attrice Hansa Wadkar, in attività per oltre trent’anni e conosciuta prevalentemente per le sue interpretazioni in lingua marathi.

“Giochi di notte” e il coraggio di Mai Zetterling

Il più lusinghiero riconoscimento conferito a Nattlek (Giochi di notte), opera seconda di Mai Zetterling, fu probabilmente l’invettiva di Shirley Temple in occasione della sua proiezione al San Francisco International Film Festival, in cui definì il film “pornografico” e indegno di essere mostrato ad un festival. Altrettanto soddisfacente per l’autrice deve essere stato quando, in occasione del Festival di Venezia, il suo film venne mostrato privatamente ai giurati poiché considerato troppo crudo per l’esposizione al pubblico. Quando si scrive e dirige un’opera così dissacrante ed esplicita, reazioni tanto scomposte e allarmistiche valgono ben più di ogni elogio da parte della critica specializzata.

Un cinema costruito sui corpi. “Gli amori di Carmen” di Raoul Walsh

Quello di Walsh è un film costruito sui corpi, e il più importante è sicuramente quello di Carmen, proporzionato e scattante, maliziosamente esposto in favore della cinepresa. Il punto più dolente dell’opera risiede proprio nell’eccessivo indugio di Walsh sul corpo della del Rio, che in certi momenti spezza il ritmo della narrazione per selezionare e sottolineare i dettagli più allusivi del suo fisico. Per quanto a lungo andare le insistenti attenzioni della cinepresa-voyeur risultino stucchevoli, va riconosciuto che contribuiscono a generare un’efficace estetica erotica della sospensione, una logorante promessa di piacere che non si concretizza, vero fulcro del potere persuasivo di Carmen. 

“Khayal Gatha” e “Ghatashraddha” al Cinema Ritrovato 2021

Questo dittico di film apre una parentesi di riflessione su temi quali il rapporto del mistico nel quotidiano e l’impatto della religiosità nella vita sociale, partendo da un luogo, l’India, estremamente frastagliato ed eterogeneo, che per lontananza tendiamo purtroppo a percepire come monolitico. Khayal Gatha è un film nebuloso, in cui lo studio del Khayal, una forma musicale tradizionale indiana, da parte di un giovane si interseca con la rappresentazione di storie e miti riguardanti l’evoluzione di questa tecnica nei secoli. Decisamente meno ostico e più concreto il secondo film, Ghatashraddha (Il rituale), di Girish Kasaravalli. Il tema dell’influenza della religione nella costruzione del tessuto sociale è al centro della scena. 

“Bhuvan Shome” e “Uski Roti” al Cinema Ritrovato 2021

Abbandonare strade battute comporta sempre un certo rischio, ma non sono mancati autori volenterosi di accollarsi il peso della sfida. Un caso meno studiato in occidente è quello del Parallel Cinema indiano, dichiarazione d’intenti prima ancora che movimento artistico, di cui sia Bhuvan Shome che Uski Roti fanno parte. L’idea di partenza è semplice (sulla carta): trovare un nuovo linguaggio espressivo per raccontare nuove storie, per una nuova nazione. In particolare, quello compiuto dal regista, Mani Kaul, è un sabotaggio discreto alle norme vigenti del linguaggio cinematografico, ma alla fine vinse la scommessa e il suo lungometraggio d’esordio si aggiudicò prestigiosi riconoscimenti in patria.

Il west straniante di Robert Altman. “I compari” e la revisione del mito

Il western è sempre stato lo specchio degli Stati Uniti, il genere epico per eccellenza, celebrativo della storia nazionale e spesso investito dell’onere di rispecchiarne i valori. Era già da diversi anni, quando usciva nelle sale I compari, che la cultura e il cinema statunitensi venivano revisionati sotto uno sguardo critico e disilluso. Complice anche la guerra in Vietnam, già bersaglio della satira altmaniana, si viene a creare un clima culturale di ripensamento sul ruolo della nazione nel mondo. Il western, di conseguenza, in quegli anni viene posto sul tavolo operatorio e dissezionato, smembrato e ricomposto tanto da esordienti quanto da veterani, talvolta con nostalgia e altre con spregio.

“Uppercase Print” e la parodia del regime

Presentato alla Berlinale, Uppercase Print e il suo autore, Radu Jude ci ricordano una volta di più quanto negli ultimi anni la Romania stia sfornando nuovi talenti a profusione, come una vena inesauribile, rendendola una delle cinematografie europee più interessanti del momento. Jude si confronta con la storia di una nazione che ancora non accettava d’essere Europa, né di allinearsi completamente alla politica Russa, scegliendo invece di crogiolarsi in un’illusione autarchica fatta di persecuzioni e filastrocche. Vengono mostrati spezzoni di programmi tv dell’epoca, alternati con messinscene asettiche e apatiche di indagini poliziesche, e null’altro. Quel che emerge è un cortocircuito fra storia e messinscena, inscindibili l’una dall’altra, i cui contorni si sfumano e amalgamano reciprocamente.

In ricordo di Kim Ki-duk

Viene a mancare uno dei pilastri del cinema asiatico, Kim Ki-duk. Una presenza significativa ma discreta, simile alla sua arte e, infine, alla sua dipartita. Quello che ha sempre descritto nei suoi film è un mondo imperfetto, dove la morte, la violenza e le peggiori pulsioni si esprimono sottovoce, appena percettibili, un mondo che forse non ha mai sentito veramente suo. Difficile non scorgere nelle sue prime opere un senso di inadeguatezza, di emarginazione, dello straniamento degli ultimi nei grandi contesti urbani, forse lo stesso sentimento che provò sulla propria pelle durante gli anni a Parigi, o forse solo le intuizioni di un uomo proteso oltre la decadenza materiale.

Non pensare troppo – Speciale “Tenet” II

Per una buona metà Tenet si trascina a fatica fra lunghissime spiegazioni e dialoghi interminabili il cui scopo si esaurisce dopo pochi minuti in scene d’azione a metà fra Mission impossible e 007. Da un certo punto il film si risolleva, non tanto perché questo schema viene alterato, quanto perché si insiste maggiormente sul potenziale spettacolare degli effetti temporali, vero centro d’interesse del film. Come di Inception ricordo solo i palazzi che si contorcevano su sé stessi, così a poche ore dalla visione di Tenet non mi viene in mente il nome di un singolo personaggio ma solo delle automobili in retromarcia.

Benvenuti nel David Lynch Theater

Cosa ci fa un artista ricercato come David Lynch su Youtube, una delle piattaforme più mainstream al mondo? La risposta a questa domanda, che in molti si sono posti a partire dallo scorso maggio, è eccentrica quanto il quesito stesso ed il suo protagonista: bollettini meteorologici. Dall’undici maggio scorso l’artista americano ha infatti cominciato a proporre brevi video (intorno ai 35 secondi) a cadenza giornaliera in cui guarda fuori dalla finestra e descrive le condizioni meteorologiche di Los Angeles. A parte qualche variazione sullo stesso tema, il canale gestito da Lynch stesso ospita anche due brevi video in cui parla di bricolage e un cortometraggio del 2015 da lui diretto.

Cinefilia domestica dall’Estremo Oriente

Tra le varie iniziative nate in queste settimane per sopperire alla chiusura di cinema e cineteche, agevolando quella che potremmo definire cinefilia domestica, merita particolare attenzione quella del Far East Film Festival di Udine che, in collaborazione con Mymovies, propone la visione in streaming di almeno un film al giorno fino al 5 aprile. L’offerta, incentrata sul cinema asiatico, si divide fra i classici di Yasujiro Ozu, titoli contemporanei di autori affermati e altri meno conosciuti in occidente. Del maestro nipponico saranno disponibili alcuni fra i film più noti e importanti, come Viaggio a Tokyo e Tarda primavera, oltre al meno celebrato Buon giorno, rendendo questa un’ottima occasione per approfondire la conoscenza del mentore di Kurosawa.

Libero dalle catene. Il cinema di Kirk Douglas

Classe 1916, una ventina d’anni più giovane del cinema stesso, Kirk Douglas ha lavorato con tutti i più importanti autori hollywoodiani e ricoperto quasi ogni ruolo possibile sul set. Attore estremamente versatile, ha attraversato trasversalmente sessant’anni di storia del miglior cinema. Di tutta la sua invidiabile carriera meritano particolare attenzione non solo le sue qualità attoriali, ma anche quelle umane. Oltre a finanziare strutture per anziani e senzatetto, Kirk ha infatti dimostrato un grande impegno sociale, specialmente contro la discriminazione degli afroamericani e contro il maccartismo che negli anni ’50 gravava sul cinema come un tribunale dell’inquisizione.

Il martirio dell’innocente – Speciale “Richard Jewell” II

Gli eroi degli ultimi anni di Eastwood sono persone comuni poste in situazioni estreme, figure estrapolate dalla cronaca ed elevate ad esempio di umanità da un grande creatore di miti americani. Jewell non fa eccezione, un uomo talmente fiducioso nella giustizia da sembrare talvolta ingenuo, il cui eroismo diventa motivo d’inquisizione in un sistema corrotto e malizioso, scandalistico prima che investigativo. La visione di Eastwood trapela limpida e viene perfino esibita con una frase scritta alle spalle di Sam Rockwell sul muro del suo ufficio casalingo: “I fear government more than i fear terrorism”. Richard Jewell è pieno di questi piccoli indizi visivi che le donano risonanza tematica e la regia ci invita ad esplorare lo spazio per scovarli, come l’accostamento di Jewell ad attori del passato mostrati in televisione, che incarnano e contemporaneamente trasferiscono le loro virtù al protagonista.

“Mariti” di John Cassavetes al Cinema Ritrovato 2019

Cassavetes definisce Mariti una commedia, ma in realtà descrivono meglio il film le parole angoscia ed esasperazione. L’angoscia è quella dei protagonisti, che non riescono a mascherare il rimorso per le scelte compiute, ad accettare che il tempo non torna indietro. Non importa quanto tentino di regredire ad uno stato infantile abbandonandosi a capricci e desideri inconsistenti, la loro vita è chiaramente impostata e davanti a loro c’è solo la morte. È proprio a partire dal decesso di un loro amico che i tre mariti hanno un’epifania, acquisiscono consapevolezza della fine, e cercano di ingannarla pateticamente ricreando quell’atmosfera da camerati che meglio si addice a bambini delle elementari. La lunga “veglia funebre” e il viaggio in Europa sono solo due delle infinite direzioni possibili nel loro percorso senza meta.

Acciaio e poesia: un arabesco di corti georgiani

Un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso quattro cortometraggi che ci trasportano nella Georgia occupata dai sovietici. La selezione dei corti e il loro ordine sono un valore aggiunto di non secondaria importanza. Ad accomunare tutti questi lavori è un uso originale del montaggio sonoro, spesso asimmetrico rispetto all’immagine, o comunque manipolato per infondere emotività e significato alle opere. Gran parte del fascino e del significato che queste opere trasmettono è dovuta alla dialettica che si instaura fra esse. Potremmo ad esempio notare come alla progressione temporale, all’avvicinamento alla fine dell’URSS, coincida un atteggiamento sempre più ottimista, sognante, espressivamente complesso. L’arte si sostituisce al sudore, sembra suggerirci questa rassegna su una cinematografia nazionale ancora tutta da ritrovare.

“Il circo” tra comicità e arte popolare

L’indipendenza creativa di cui gode non è affatto cosa comune per l’epoca e Chaplin ne è consapevole, quindi decide di inserire il personaggio del proprietario del circo sempre pronto a licenziare un suo artista, indipendentemente dal suo talento, nel momento i cui smette di riscuotere il favore del pubblico. Insieme a questa amara considerazione sulla popolarità in campo artistico, Chaplin si interroga sul funzionamento della comicità. Sembra suggerire che la comicità nasca dalla naturalezza quanto dalla disposizione d’animo, poiché alla delusione amorosa di Charlot corrisponde l’insuccesso delle sue esibizioni. Sentimentale e riflessivo, Il circo non gode purtroppo della stessa fama del successivo Luci della città, segno del fatto, forse, che le considerazioni di Chaplin erano giuste.

“Il grande gaucho” al Cinema Ritrovato 2019

Come in molte altre produzioni americane, la storia d’amore simboleggia qualcosa di più ampio. Sposare Teresa significa abbracciare i fondamenti della civiltà: la famiglia, la patria (il maggiore incaricato di dargli la caccia afferma che a modo suo anche Martin è un patriota) e soprattutto Dio. Il cristianesimo è infatti il più importante punto di contatto fra i cittadini e i gaucho, e la figura di padre Fernández è il principale artefice della presa di coscienza del protagonista. Non è d’altronde insolito ritrovare i precetti biblici nel western (In nome di Dio di Ford) e nella produzione, soprattutto colossal storici, degli anni cinquanta (Ben Hur di Wyler, I dieci comandamenti di DeMille), nel primo caso come elemento fondante della nazione e nel secondo come valore anticomunista.

“Oblako-Raj” al Cinema Ritrovato 2019

L’atmosfera surreale del racconto è amplificata dalla messa in scena, dalle leggere deformazioni dei volti ottenute con lenti grandangolari. In più di un’occasione il tono della vicenda è grottesco e i personaggi assurdamente euforici per il viaggio di Kolja, come nella scena in cui il suo migliore amico fa ruotare ossessivamente un mappamondo ed elenca tutti i nomi dei luoghi che trova, ridendo istericamente. Quando Nikolaj Dostal’ dirige questo film (1990) l’URSS sta già cominciando a disgregarsi ed è interessante notare come il racconto dell’euforia di massa causata dalla novità abbia riscosso un notevole successo in un periodo di preoccupazione per il futuro. Forse è proprio qui che risiede la forza dell’opera, nella capacità di sorridere dell’incertezza. Con questo film innalza la commedia grottesca a manifesto di una società in mutamento, a beneficio degli spettatori del suo e del nostro presente.