“Freaks” estraneo alla norma sociale

Non vale qui la solita retorica dei film sulla diversità, il classico “chi sono i veri mostri” di The Elephant Man o La bella e la bestia, in Freaks la rivalsa del diverso si raggiunge tramite l’efferatezza di cui solo una persona “normale” sarebbe capace. Browning è sempre stato il solo a credere nel progetto e nella dignità degli attori che aveva ingaggiato, veri artisti affetti da disabilità con una carriera alle spalle.

“Freaks”, le sequenze tagliate e la maledizione del film

In mancanza di documenti che comprovino quali siano stati in modo circostanziato i tagli inferti al film, sono state avanzate varie ipotesi. Secondo Fabrice Ziolkowski, “queste scene erano più esplicite sulla sorte di Hercules, l’uomo forzuto. Dato che il film insisteva sul tema della castrazione (corpi mutilati, deformati), sembra il risultato di un’azione censoria il fatto che, nelle copie attuali, Hercules appaia nella scena in cui urla vedendo avvicinarsi i membri del circo armati di coltelli e di altri strumenti da taglio, e poi la sua sorte sia lasciata così in sospeso”.

“La visita” e i ritratti di donna di Antonio Pietrangeli

  1. Regista e sceneggiatore tra i grandi dimenticati del cinema italiano a cavallo del boom economico, Antonio Pietrangeli è stato uno dei più acuti osservatori dell’evoluzione dei costumi nazionali e in particolare la figura femminile. Le sue eroine modelli tragici di una modernità che fatica ad affermarsi in un contesto socioculturale ancora retrogrado, nonostante le apparenti aperture. Come Pina, ormai non più giovane nubile di provincia che cerca l’amore per corrispondenza per sfuggire all’ambiente chiuso della campagna emiliana.

“Mean Streets” tra le note dei generi musicali

Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, mai titolo italiano è stato più azzeccato per definire le storie semiserie dei delinquentelli della piccola e notturna Italy, pronti ad essere iniziati ai violenti rituali della criminalità organizzata. Nell’autobiografia poetica del figlio prediletto di Little Italy c’è il rock ‘n’ roll che accelera la scena narrativizzandola, il soul che la ammorbidisce con la sua linea melodica, la tradizione lirica italiana che drammatizza il tessuto narrativo.

Cadaveri da ridere nell’armadio di Fernandel

L’ispirazione arriva da un fatto di cronaca di qualche anno prima, con un’anziana signora morta durante un viaggio in auto, rubata poco dopo insieme al cadavere che il nipote aveva provvisoriamente avvolto in un tappeto. Il primo film da regista di Carlo Rim, all’epoca sceneggiatore attivissimo, è una commedia macabra tutta giocata intorno alla carismatica performance di Fernandel, in cui si ride di gusto, tra equivoci, rincorse e armadi che sembrano moltiplicarsi come in un incubo di Magritte.

“Lo squalo” e la mitologia del blockbuster

A colpire, nello Squalo, è la resistenza, a distanza di quasi cinquant’anni, di un immaginario perturbante che ha prodotto sequel e rivisitazioni, ridefinendo il concetto stesso di paura sul grande schermo. Lo squalo comunicava all’industria cinematografica una precisa dichiarazione d’intenti: il perfezionamento della macchina propagandistica e di marketing racchiusa in un film molto lontano dai soliti e rassicuranti stereotipi, votato alla rappresentazione di un’impresa tutta al maschile concentrata sulle singole individualità.

“I ruggenti anni venti” e la solitudine del gangster

1927, 1932, 1939: la durata effettiva e l’importanza del decennio d’oro del gangster movie per il cinema americano (e non) a venire si misurano a partire da questi tre anni. Le notti di Chicago, Scarface, I ruggenti anni venti: dall’emersione del sottosuolo criminale di von Sternberg, (ir)realistico e animalesco, al dramma shakespeariano di Hawks, fino alla fosca elegia di Walsh per la fine del gangster come incarnazione dell’homo novus americano.

“La città del peccato” dal noir alla tragedia

Tutti gli indizi ci porterebbero a definire La città del peccato un puro noir: è prodotto dalla Warner Bros, la “casa” del genere; la grande città, New York, si fa specchio di una prova morale durissima, dove l’individualismo di chi sogna equivale alla punizione di chi osa troppo; ha inoltre come protagonista una delle icone massime del noir, James Cagney. Se questi indizi sono necessari non sono però sufficienti: il soggetto di La città del peccato si fa infatti, nelle mani di Litvak, una tragedia mélo dalla morale ambigua, ricca molto più di sentimenti che di azione, di impulsi emotivi e di luci della ribalta che di buie geografie urbane.

Drammaturgie folk in “Un tranquillo weekend di paura”

Se nel 1971 Sam Peckinpah in Cane di paglia continuava la sua sofferta meditazione sull’every man come macchina da combattimento in un mondo iniquo, il suo collega d’oltreoceano John Boorman si inabissava, un anno dopo, nel cuore di tenebra della middle class americana girando Un tranquillo weekend di paura. Poco importa che avrebbe dovuto esserci “l’ultimo westerner” a realizzare il film tratto dal romanzo omonimo di James Dickey, poiché il cineasta britannico non sfigurò e ne fece uno spericolato tuffo nell’ignoto.

“Un tranquillo weekend di paura” e il corso della natura selvaggia

Anni prima che l’ecologia fosse riconosciuta come tema di rilievo per la comunità mondiale, il Lewis Medlock di John Boorman si lancia in una triste considerazione sul destino del fiume Chatooga, in procinto di essere cancellato con la costruzione di una diga. Il rapporto con la natura che costituisce il cardine di Un tranquillo weekend di paura è però molto più complesso della semplice propaganda ecologista: la comunione con il mondo naturale, cercata più o meno consciamente dai quattro amici nella gita in canoa, non rivela una vita più semplice e pura ma gli orrori della lotta per la sopravvivenza.

“In nome della legge” e la rappresentazione della mafia

Primo film a occuparsi esplicitamente di mafia nel dopoguerra basandosi sul romanzo Piccola pretura (1948) del magistrato Giuseppe Lo Schiavo, ma anche primo poliziesco o primo western italiano a seconda delle diverse prospettive e sensibilità di genere, In nome della legge di Pietro Germi è rimasto in una certa parte della memoria cinematografica della critica italiana come un modello immorale, seppur di successo e di forza drammatica, di dialogo tra Stato e mafia che ha esteso la sua lunga ombra anche sul nostro successivo cinema civile.

“Il ferroviere” e il realismo all’italiana di Pietro Germi

Germi firma (e interpreta) la sua prima opera fortemente personale, debitrice verso il realismo francese di Marcel Carné e Jean Renoir e nella tradizione del melodramma italiano. Nel racconto del macchinista Andrea Marcocci, diviso tra un lavoro disumanizzante e una famiglia che sta perdendo la sua unità, tratteggia un quadro sociologico del proletariato italiano del dopoguerra, in ripartenza ma ancora lontano dal boom economico.

Il cinema di Harry Kümel nella notte dell’umano

Delphine Seyrig nelle vesti della draculea Élisabeth Báthory attraversa una notturna Marienbad in La vestale di Satana (1971). Il luciferino Cassavius di Orson Welles sul suo letto di morte invoca la luce in Malpertuis (1971). Il cinema vampiresco di Harry Kümel succhia il sangue dai maestri del meta-modernismo per dare nuova linfa a intramontabili divinità, a favole e racconti dell’orrore: erigere un monumento al desiderio di raccontare le eterne lotte tra la luce e il buio, tra l’amore e la morte.

“L’angelo azzurro” depoliticizzato ma vibrante

Nell’adattamento cinematografico von Sternberg opera una depoliticizzazione del romanzo originario, che era una sorta di critica alla falsa morale e ai valori corrotti della borghesia tedesca, eliminando la masochistica ribellione del professor Immanuel Rath (interpretato da Emil Jannings) contro la società e focalizzandosi invece sul suo desiderio di abnegazione per la soubrette Lola-Lola. 

“The Annihilation of Fish” e l’amore ai margini

Fish e Poinsettia sono i dimenticati di oggi, cui l’America volta la faccia o se ne approfitta. Figure sconfitte che travalicano le grandi questioni sociali nazionali, dando voce alla loro umanità che, superati pregiudizi e ritrosie, possono finalmente incontrarsi facendo proprio il problema dell’altro, senza la certezza di poterlo risolvere ma con l’impegno e la dedizione di condividerne il peso.

“Sugarland Express” e la rilettura del road movie

Il road movie viene piegato alle esigenze di un giovane regista che non vuole né semplicemente mostrare i grandi paesaggi statunitensi né concretizzare nel viaggio una rivoluzione generazionale o una controrivoluzione culturale. Ciò che interessa a Spielberg è in particolare creare un’empatia del pubblico verso questi due giovani disarmati nei confronti della vita, che minimizzano costantemente la loro posizione rispetto alla legge mentre cercano di raggiungere il loro obiettivo di riprendersi “baby Langston”.

“L’incredibile avventura di Mr. Holland” emblema di intrattenimento liberatorio

Attento a cogliere una realtà in cui tutti sognano di diventare ricchi pur sapendo già non ci riusciranno mai, come viene detto espressamente in apertura, L’incredibile avventura di Mr. Holland è un emblema delle Ealing Comedies fra la fine degli anni ’40 e i ’50; una gemma di malcelata tentazione alla sovversione, pronta a registrare i sottili impulsi antisociali che erano nell’aria e a rappresentarli in forma di intrattenimento liberatorio per un pubblico inglese molto provato dal proprio recente passato.

“I sette samurai” dal passato al presente

Come già in Rashomon, Kurosawa sfrutta il passato anche per parlare del presente: dell’individualismo predatorio del secondo dopoguerra, parzialmente ereditato dalla cultura dell’occupatore statunitense. L’approccio umanista rappresenta per l’autore giapponese, coerentemente con gran parte della sua filmografia, la via auspicabile per la coesione sociale, il termine della lotta di classe.  Afferma infatti il samurai Kambei, per appianare l’attrito fra guerrieri e contadini: “Chi difende tutti difende se stesso, chi pensa solo a se stesso si distrugge”.

“Die Frau am Weg” e il senso di colpa di un paese

Die Frau am Weg tematizza il periodo della presenza tedesca sul territorio austriaco in una storia che si svolge in un luogo apparentemente lontano dal dramma della guerra, le montagne del Tirolo. Qui vive Christine, insieme a suo marito, un funzionario della dogana. La sua vita tranquilla è sconvolta dall’arrivo di un prigioniero politico in fuga, ricercato dai nazisti. Christine decide di aiutarlo a fuggire oltre il confine svizzero, all’insaputa del marito. Die Frau am Weg è un film importante per l’Austria del dopoguerra, perché mette il paese di fronte alle sue colpe. Tuttavia, la posizione del film non è espressamente politica, il nazismo viene raccontato come un’entità non politica, perché non umana. 

“Carrie” e il potere dello sguardo

Tra l’horror e il teen movie, il primo film tratto da un romanzo di Stephen King ha il fascino del cult e un magnetismo capace di tenere col fiato sospeso intere generazioni di spettatori. Un cinema barocco, pieno di virtuosismi, a cui si ibrida una trascinante capacità di raccontare e rapire. Un’opera dove l’erotismo è palpabile, dove il rosso del sangue significa sessualità, maturazione, ma anche morte e dolore. Un film che sconvolge, ma dotato di una travolgente ironia macabra.

“Bona” e il cinema urlato di Lino Brocka

Tra oltranze e oltraggi, abusi e abiure, il cinema di Lino Brocka urla ancora. Nei colori aspri e nei richiami notturni di Bona gli slum di Manila diventano le quinte perfette per mettere in scena un melodramma originalissimo. La grandezza del cinema di Brocka sta nell’aver compreso la vitalità senza via d’uscita di un intero paese (prima, durante e dopo le leggi marziali di Marcos), e nell’averla trasmessa ai suoi personaggi.