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“Marito e moglie” e la nascosta grandezza

È un film nato quasi per caso, Marito e moglie. Movie-movie sul modello di L’amore di Roberto Rossellini, cioè due mediometraggi messi insieme in virtù di un largo tema comune, recupera un episodio, pensato da Eduardo per il collettivo italo-francese I sette peccati capitali e poi sostituito da un altro, e lo accompagna all’adattamento di un atto unico scritto dallo stesso commediografo circa vent’anni prima. Per l’occasione, la proiezione di Marito e moglie è stata anticipata proprio da Avarizia ed ira, lo sketch scritto e diretto da Eduardo per l’antologia sui vizi, quasi a voler costituire un ideale trittico sulla vita coniugale. Ma è Marito e moglie a sconcertare per nascosta grandezza.

“Il cameraman” di Buster Keaton al Cinema Ritrovato 2019

È un movimento fluido, ma al contempo, per quello che il nostro occhio percepisce, è anche estremamente vivace tale è la costruzione dello spazio all’interno dell’inquadratura e la dinamicità fisica dell’attore. Vista sul grande schermo di Piazza Maggiore anche la sequenza dello spogliatoio è diversa, più libera e meno angusta per lo spettatore, ma esattamente il contrario per Keaton che, mentre tenta di cambiarsi, viene schiacciato contro le pareti della cabina, e dello schermo, fino a quando vediamo emergere un’esile mano che vuole chiedere aiuto. Keaton ha infatti raggiunto, per il suo personaggio, l’apice dell’estraneità dal mondo di cui si fa beffe sia a livello cinematografico – quando il suo personaggio mostra alcuni filmati, girati in maniera sbagliata, creati attraverso sovrimpressioni questo effetto subito porta la memoria all’avanguardia sovietica e al loro sperimentalismo – sia a livello di racconto.

“Cielo infernale” di Youssef Chahine al Cinema Ritrovato 2019

Con Cielo infernale (1954) Youssef Chahine affronta direttamente le conseguenze sociali e politiche della rivoluzione del 1952, quella dei Liberi ufficiali, e della prima riforma rurale, rappresentando nitidamente il tentativo di emancipazione dei lavoratori: quei “braccianti” tradizionalmente schiacciati dal sistema feudale a servizio del Pascià. Assecondando ancora una volta la predilezione per il racconto corale, la contaminazione fra i generi e la sovrapposizione fra la Storia e le storie, Chahine si concentra quasi pittoricamente sulla rappresentazione dello scarto profondo e apparentemente insanabile che divide la famiglia del Pascià dalla massa di contadini. Costruito ricorrendo a vere e proprie coppie oppositive che descrivono ricchezze e povertà dei personaggi,

Lo splendore di “Gigi” di Minnelli

Sin dalla prima sequenza vengono messi in evidenza tutti gli elementi fondamentali dell’opera, sia per quanto riguarda i temi sviluppati dalla trama (il passaggio dall’infanzia all’età adulta, l’amore, il matrimonio) sia per ciò che attiene alla forma specifica del film: lo sguardo in macchina e il coinvolgimento degli spettatori richiamano l’attenzione sull’ars affabulatoria propria del cinema; il canto ci rende consapevoli di essere entrati nel genere musical; la macchina da presa sempre in movimento (specialmente in carrellate laterali) ci invita a seguire i personaggi nelle loro vicende. A colpire è soprattutto l’aspetto tecnico-formale a colpire, sebbene anche la sceneggiatura (tratta da un racconto di Colette del 1944 e vincitrice di un Oscar) offra momenti brillanti e divertenti.

Le artiste del 16mm tra poesia, fisicità e surrealismo satirico

Considerato elemento fondamentale per lo sviluppo della cinematografia indipendente, il formato ridotto ha trovato in figure come quella di Margaret Tait, Martha Colburn e Maria Lassnig, uno sviluppo parallelo e complementare ad altre pratiche e linguaggi quali quello della poesia, della musica e della pittura, dimostrando nuove possibilità e sensibilità del mezzo. Appartenenti a generazioni diverse, le tre sono accomunate dall’utilizzo della pellicola di piccolo formato come ulteriore linguaggio dedito all’esplorazione di temi ed estetiche affrontate attraverso altri mezzi. Il lavoro cinematografico di queste tre artiste non può essere considerato dimostrazione certa di un legame tra utilizzo del 16mm e donne, ma mette sicuramente in luce la capacità di un utilizzo di una qualità non tecnologica per la creazione di un livello personale e intimo con il quale indagare la realtà e la creatività.

“Il grande gaucho” al Cinema Ritrovato 2019

Come in molte altre produzioni americane, la storia d’amore simboleggia qualcosa di più ampio. Sposare Teresa significa abbracciare i fondamenti della civiltà: la famiglia, la patria (il maggiore incaricato di dargli la caccia afferma che a modo suo anche Martin è un patriota) e soprattutto Dio. Il cristianesimo è infatti il più importante punto di contatto fra i cittadini e i gaucho, e la figura di padre Fernández è il principale artefice della presa di coscienza del protagonista. Non è d’altronde insolito ritrovare i precetti biblici nel western (In nome di Dio di Ford) e nella produzione, soprattutto colossal storici, degli anni cinquanta (Ben Hur di Wyler, I dieci comandamenti di DeMille), nel primo caso come elemento fondante della nazione e nel secondo come valore anticomunista.

“Anders als die Andern” al Cinema Ritrovato 2019

Anders als die Andern è un attacco crudo, una critica diretta nei confronti del “paragrafo della vergogna” (il numero 175 viene incastonato nella grafica del primo cartello del titolo): la produzione del film fu di così grande impatto che la censura cinematografica venne ripristinata un anno dopo al fine di scongiurare la distribuzione di questa e di altre pellicole giudicate “immorali” e “scabrose”. Ci riuscì, dimezzandone il metraggio originale dopo lunghi dibattiti e accese polemiche, per evitare di “compromettere l’ordine o la sicurezza del pubblico, offendere le sensibilità religiose, sortire un effetto di degenerazione morale, danneggiare la reputazione della Germania o le relazioni tra la Germania e gli stati esteri”. Tagliato, perduto, rimontato, censurato e smembrato, ora ritrovato, Anders als die Andern è tanto attuale perfino cento anni dopo. La testimonianza di un amore travagliato e destinato alla tragedia su cui tutt’oggi si è invitati a riflettere, nella speranza di porre definitivamente una croce indelebile sulle pagine nere di tutte le persecuzioni omofobe.

“Peggy va alla guerra” al Cinema Ritrovato 2019

Nel 1939, dieci anni dopo la prima distribuzione, il film fu rimaneggiato e riciclato al servizio della propaganda antimilitarista e anti interventista. Quella che vediamo oggi è proprio questa versione apocrifa, che patisce l’espunzione delle didascalie e di molte sequenze necessarie alla comprensione del racconto. Unica aggiunta, un’introduzione mirata a dissuadere gli spettatori statunitensi da un’ulteriore coinvolgimento nei sanguinosi affari europei. Ciò che rimane di quest’opera singolare, dopo tanti stravolgimenti, è un assemblaggio frammentario di primi piani commossi, roboanti sequenze belliche e persino qualche gag tra le trincee. Più che un sonoro compiuto, un film muto con suoni – numeri musicali, tanti rumori e qualche riga di dialogo che risuona flebile –, in cui si percepisce forte l’ebbrezza di poter solleticare l’udito degli spettatori, sperimentando in tante direzioni diverse.

“Filumena Marturano” al Cinema Ritrovato 2019

Raccontò Eduardo: “L’idea di Filumena Marturano mi nacque alla lettura di una notizia; una donna a Napoli, che conviveva con un uomo senza esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo; da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature”. Filumena Marturano è la prima opera di Eduardo che ha per protagonista assoluta una donna e fu scritta per sua sorella Titina. Così Titina ebbe modo di creare una delle sue interpretazioni più riuscite, con una recitazione scarna ed essenziale, determinata e forte come il personaggio, dando vita ad una Filumena immortale, che combatte caparbiamente per ottenere un riconoscimento come donna, madre e moglie (e forse novella capofamiglia?) nella società patriarcale del 1916.

“Muna Moto” al Cinema Ritrovato 2019

Il racconto si rifà a stilemi tipici di tanta drammaturgia teatrale (il regista e gli attori, infatti, vengono tutti dal teatro). Romeo e Giulietta ne è il riferimento archetipico: un amore che, per sopravvivere, deve lottare contro la famiglia e la società intera. Una storia contro le tradizioni, ma anche radicata con affetto in un’Africa fatta di fiumi, foreste, spiagge e villaggi: uno schiaffo e una carezza alla società. L’opera è anche una riflessione sul potere: l’occhio politico non manca e rende il film una denuncia, seppur velata, sulla condizione dell’Africa nera, schiacciata dal passato coloniale; è un affresco sulla condizione umana, sul ruolo della famiglia e dei figli. “Il figlio dell’altro” è la traduzione letterale del titolo, sul quale il racconto costruisce l’ambiguità centrale che si espande al linguaggio visivo e alle immagini. 

Musidora, il torero e lo spettacolo della proiezione

Vedere oggi La Tierra de los Toros di Musidora (1924) non rende certamente l’idea di quello che doveva essere il concetto originale dell’opera. La vamp francese aveva, infatti, in mente un progetto itinerante durante il quale alla proiezione si alternavano momenti con lei stessa sulla scena che intratteneva il pubblico. Oggi questo progetto è soprattutto il manifesto di una dolce storia d’amore. Il film è ricco di giochi di sguardi, sorrisi e segnali di grande intesa tra Musidora e il torero Antonio Cañero, che erano all’epoca all’apice della loro relazione sentimentale. La Tierra de los Toros ricostruisce il loro amore in forma romanzata, con i due protagonisti che interpretano loro stessi prendendosi molto poco sul serio e giocando sui loro punti di forza e i loro difetti.

“Oblako-Raj” al Cinema Ritrovato 2019

L’atmosfera surreale del racconto è amplificata dalla messa in scena, dalle leggere deformazioni dei volti ottenute con lenti grandangolari. In più di un’occasione il tono della vicenda è grottesco e i personaggi assurdamente euforici per il viaggio di Kolja, come nella scena in cui il suo migliore amico fa ruotare ossessivamente un mappamondo ed elenca tutti i nomi dei luoghi che trova, ridendo istericamente. Quando Nikolaj Dostal’ dirige questo film (1990) l’URSS sta già cominciando a disgregarsi ed è interessante notare come il racconto dell’euforia di massa causata dalla novità abbia riscosso un notevole successo in un periodo di preoccupazione per il futuro. Forse è proprio qui che risiede la forza dell’opera, nella capacità di sorridere dell’incertezza. Con questo film innalza la commedia grottesca a manifesto di una società in mutamento, a beneficio degli spettatori del suo e del nostro presente.

“Alessandria perché?” di Youssef Chahine al Cinema Ritrovato 2019

La Storia e i suoi avvenimenti si legano indissolubilmente alla vita e alla memoria dei tanti protagonisti, in un racconto corale in cui, ancora una volta, predomina la rappresentazione visiva, plasticamente sontuosa, che si sviluppa in quadri complessi, animati da riferimenti pittorici e cinematografi in cui convivono felicemente l’avanguardia e il cinema di genere, il found footage e l’auto-fiction, il realismo e il musical. Il prologo di Alessandria perché? sovrappone immagini di archivio, in bianco e nero, che svolgono il racconto degli anni bui dell’Europa e del vicino oriente, dall’ascesa di Hitler e Mussolini all’intervento delle forze alleate, a sequenze comuni e quotidiane, a colori e quasi “domestiche”, domeniche al mare e passeggiate per la città nei giorni di festa.

“Essere donne” di Cecilia Mangini. Storia di un boicottaggio

Il documentario Essere donne (1965), girato da Cecilia Mangini è stato all’epoca ingiustamente boicottato dagli stessi produttori e registi che facevano parte della Commissione ministeriale che decideva delle sorti dei medio e cortometraggi che accompagnavano la programmazione dei film nelle sale. Non ottenere l’appoggio degli esercenti e neppure il premio di qualità, significava negare  una vita sullo schermo al proprio film. Era un modo subdolo per censurare indirettamente quei documentari che affrontavano argomenti scomodi che il governo non desiderava far arrivare al pubblico. La documentazione conservata nell’Archivio di Cecilia Mangini e Lino Del Fra aiuta a capire le ragioni della sua ‘bocciatura’.

“I figli della violenza” al Cinema Ritrovato 2019

I figli della violenza è un film convintamente progressista, quasi utopico, certamente antifascista. Buñuel indica chiaramente la strada giusta per risolvere un problema universale, argomentando le sue convinzioni e confutando le antitesi, come quella del vecchio cieco che, nostalgico dell’epoca del dittatore Porfirio Diaz, è convinto che l’unico modo per risolvere la situazione sia attraverso l’eliminazione di tutti i giovani malfattori. Proprio per questo Los Olvidados è un film spiazzante, perché attualissimo in una società dove non si parla che di baby gangs e dove riemerge la tentazione di usare metodi giustizialisti e ingiusti.

“L’albero della vendetta” al Cinema Ritrovato 2019

Il mistero in L’albero della vendetta non giace nel gioco dialogico; anzi, al netto di quella “certa teatralità” spesso rilevata dalla critica, non c’è niente di strano nei personaggi di Boetticher per come parlano. In questo sono davvero classici eroi da B-movie. È invece la loro collocazione, nello spazio e nel gioco di luci e ombre, a parlare. Il gigantismo del Cinemascope perde ogni connotato di onniscienza, di visione libera ed ariosa: sempre più cosci di una costitutiva incapacità di vedere l’Altro che pure sappiamo esserci, in tutta quest’immensità di sguardo cominciamo a sentirci soli. 

Jean Renoir, René Clair e Hans Richter tra arte e cinema sperimentale

La Parigi onirica di René Clair è teatro di un contesto quasi surrealista, in linea con il pensiero rappresentativo della Ville Lumière secondo il regista francese. Un quotidiano che si ribalta, si svuota del consueto dinamismo e assume sfumature inquietanti, dove i pochi scampati dall’incantesimo di uno scienziato “passo” si illudono di poter essere finalmente liberi. Una giornata di lavoro, più volte rimontato e risonorizzato da Richter, è un’esplosione di esperimenti con la macchina da presa. Realismo e sogno si alternano nei due film di Renoir. Ai tre registi, che col cinema sonoro affermarono il loro “essere cinefili”, va certamente attribuito il merito, nel muto, di seguire la stessa linea direttrice dell’arte figurativa d’avanguardia, portandola sullo schermo e mostrandocela in tutta la sua bellezza e complessità.

“Partita d’azzardo” al Cinema Ritrovato 2019

L’indubbia metafora etica e politica, che aleggia alle spalle di questo delizioso film di Marshall, non toglie nulla a quella freschezza, a quel divertimento, a quella grazia leggera che oggi, a 80 anni di distanza dalla sua realizzazione, noi spettatori percepiamo ancora con nitidezza guardando Partita d’azzardo. È un Marshall impeccabile, che dosa con sapienza vari elementi: l’avvincente trama ispirata al precedente film del 1932 con Tom Mix, due attori famosi ma fino a quel momento lontani dal mondo western, diversi comprimari di talento come Misha Auer che interpreta il russo Boris, tempi comici perfetti, una sceneggiatura indovinata e una riuscita scelta di spazio, composizione e inquadrature.

“Ragazze da marito” al Cinema Ritrovato 2019

Film divertente quanto scivoloso per una cattiveria ora esplicita ora no, sostanzialmente trascurato per l’assonanza ipotetica con tante commedie del periodo, Ragazze di marito accoglie il sapore agrodolce di Age e Scarpelli che, alle prese con un Eduardo messosi a disposizione del cinema per raccogliere soldi da investire nelle attività teatrali, lavorano intelligentemente tra l’adesione a certi topoi del commediografo (la crisi dei padri, le opposizioni delle mogli, i figli che vorrebbero emanciparsi…) e l’attenzione a quelli che sarebbero poi diventati alcuni dei loro temi forti. L’acido ritratto della famiglia, con la classica situazione dell’imprevisto arricchimento e la certezza del declassamento alla fine della parabola, costituisce l’occasione per metterne alla berlina le ipocrisie e le bassezze morali.

“Easy Rider” e il percorso spirituale della contro-cultura

La ricerca spirituale dei due è messa in scena da Hopper, in quanto regista, in maniera del tutto particolare. Debitore verso un certo cinema europeo dell’epoca (i film della Nouvelle Vague su tutti), che cercavano di rinnovare il linguaggio cinematografico per narrare nuove storie, Hopper si cimenta in sperimentazioni che, con ogni probabilità, una major hollywoodiana non avrebbe mai accettato. I sorprendenti e per nulla ortodossi stacchi di montaggio intermittenti che sembrano far succedere le inquadrature sbattendo gli occhi, la morbosità eroticizzante con cui si sofferma sulle motociclette, la sequenza delirante e intrisa di blasfemia del cimitero fanno di Easy Rider un’opera con cui qualsiasi film a venire, che pretenda di definirsi libero, dovrà necessariamente confrontarsi.