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“La rosa tatuata” e il repertorio di Anna Magnani
Al contrario di quello che avviene in altri drammi dell’autore come Un tram che si chiama Desiderio o La dolce ala della giovinezza, il passato non costituisce per la donna un rifugio da cui farsi opprimere né il punto di congiunzione tra una tragedia personale e il declino del Vecchio Sud. A Williams non importa in questo caso portare fiori per il Sud morto ma fornire a Magnani le occasioni per mettere in gioco il suo ampio repertorio di registri attoriali.
“La signora della porta accanto” tra l’alchimia e l’amour fou
La signora della porta accanto, ventesimo lungometraggio di François Truffaut, è una storia d’amour fou nel senso più cinematografico del termine: l’alchimia tra Ardant e Depardieu è palpabile in ogni scena e il restauro in 4K permette di godere nuovamente appieno di luci, ombre e cromie che sottolineano gli stati d’animo dei protagonisti, ma è soprattutto la progressione drammatica della narrazione a manifestare il loro graduale essere travolti dalla malattia d’amore.
Michael Powell e la commedia di costume
Succede sempre qualcosa (1934) e La sua ultima relazione (1936) sono due esempi di come Powell cerchi di forzare i limiti dettati dal sistema produttivo delle quote per impostare un discorso più personale sia dal punto di vista dell’analisi della società inglese degli anni Trenta che della forma cinematografica. I due film sono ascrivibili alla categoria delle “commedie di costume”, genere molto ampio che abbraccia ironia e satira, scandalo e mistero, indagine sociale e intreccio romantico.
“La Souriante Madame Beudet” e il potere emancipatorio dell’immaginazione
Se l’abilità della regista consiste mettere al servizio dell’impegno femminista la sua ricerca per lo sviluppo del linguaggio cinematografico La Souriante Madame Beudet di certo è un capolavoro particolarmente riuscito sotto questo aspetto. Allontanandosi da una rappresentazione realista e abbracciando un linguaggio onirico, mentre elabora una nuova sintassi cinematografica nel film ci offre una diversa immagine della femminilità, dove (anche) al genere femminile è concesso di desiderare e che tale desiderio può portare ad una sottile rivoluzione.
Incontro con Wim Wenders
Incontrando la stampa, Wenders ha parlato del restauro del suo Lampi sull’acqua – Nick’s Movie e dell’inizio della collaborazione tra la Cineteca di Bologna, la Wim Wenders Stiftung e CG Entertainment. Rievocandone la realizzazione, Wenders ha ricordato come fare un film su Nicholas Ray sia stato per lui molto particolare, vista la grande amicizia che lo legava al regista di Gioventù bruciata. Un coinvolgimento emotivo così forte ha reso l’esperienza estremamente diversa rispetto a quella avuta, per esempio, sul set del suo recente documentario che indaga il modo di vivere la religiosità di Papa Francesco.
“Katharina – die Letzte” o la purezza degli ultimi
Nel ruolo di Katharina, Franziska Gaal – qui all’ultimo dei tre film di grande successo realizzati insieme al regista Hermann Kosterlitz, il produttore Joe Pasternak e lo sceneggiatore Felix Joachimson – è una commovente Cenerentola che conquista con i suoi occhioni ingenui, le espressioni del viso e i movimenti goffi. Rispetto ad altre commedie musicali di registi tedeschi in esilio dopo il 1933, Katharina – Die Letzte, pur mantenendo un’elegante leggerezza, tratta alcune tematiche sociali con maggiore profondità.
“La donna della spiaggia” e il cinema onirico di Renoir
Se è vero che ogni cosa trova una sua sistemazione, nella gioia o nel dolore, attraverso lo sguardo di Renoir, lo stesso non si può dire della travagliata storia produttiva del film, uscito nel ’47: riscritto a più riprese e rimontato due volte per volontà della RKO, fu comunque un insuccesso e costò a Renoir la carriera hollywoodiana. Restaurato qualche anno fa a partire da un duplicato di sicurezza del negativo 35mm, lo si ammira oggi come un noir decisamente atipico, perché imbevuto di un’atmosfera sognante e di un torbido mistero legato alle implicazioni inconsce piuttosto che all’intrigo adulterino.
Anna Magnani e i sogni di una nazione
Molti sogni per le strade (1948) di Mario Camerini e Nella città l’inferno (1958) di Renato Castellani non potrebbero sembrare, a prima vista, due film più diversi: commedia a lieto fine il primo, dramma carcerario il secondo. Eppure i due film sono accomunati dalla caratterizzazione dei due personaggi interpretati da Anna Magnani: attraverso di lei, queste due opere testimoniano la voglia di mobilità sociale della popolazione italiana nell’arco di dieci anni fondamentali che porteranno la nazione dalle rovine del secondo dopoguerra al boom economico.
La forza della natura in Jean Epstein
“Sullo schermo non esiste una natura morta […] gli alberi gesticolano, le montagne si esprimono”. Così scriveva Jean Epstein nel saggio Le Cinématographe vu de l’Etna (1926), in cui esponeva il suo punto di vista sul lavoro fatto con La Montagne infidèle (1923). L’opera di Epstein mostra il suo grande interesse per la natura e la sua forza distruttrice. Il primo Epstein è capace di usare la violenza della natura anche in opere più atipiche come L’Auberge rouge (1923). Il film, tratto dall’omonima opera di Balzac, è girato principalmente in interni, ma la scena più forte ha come sfondo proprio l’elemento naturale e distruttivo della tempesta
Dietro le quinte del Roland Garros
Per gli appassionati di tennis inglesi e americani è “The French Open”: parliamo del Roland Garros, il più importante torneo su terra rossa. Da grande fan dello sport, il fotografo e regista William Klein decide di realizzare un documentario sull’edizione del 1981. Ciò che sorprende, del metodo Klein, è il livello di familiarità coi giocatori raggiunto dal regista dietro le quinte, e il grado di accesso garantitogli dall’organizzazione del torneo, da allora mai più ripetuto e del tutto impensabile al giorno d’oggi.
“L’arpa birmana” che riconosce l’umano in ogni cosa
In quanto testimone isolato degli effetti disumani del conflitto Mizushima si sente chiamato al lavoro definitivo della pietà: seppellire i morti, i morti sconosciuti e dimenticati che affollano le valli e le coste della Birmania, i morti che non appartengono più a nessuno. Così impara a riconoscere l’umano in ogni cosa, nel volto di un bambino cui insegnare a suonare il suo strumento, nelle ossa incrostate di fango al bordo di un fiume, nel pappagallo che gli sta sempre appollaiato sulla spalla, in un rubino trovato per caso nello scavare una tomba.
“La valle dell’Eden” e la falsa terra promessa
Nel conflitto familiare di Caleb con il padre Adam e il fratello Aron al centro del film può essere rintracciata la medesima sottotraccia biblica del romanzo originale, una rilettura moderna del mito di Caino e Abele entrambi desiderosi di compiacere il padre ma le cui opposte nature portano a diversi destini. Effettivamente è questo triangolo sentimentale il perno dell’opera di Kazan, che come Steinbeck è sempre attento agli ultimi, reietti, diseredati e dimenticati: raccontare il disagio di un Paese a partire dai suoi figli.
Rouben Mamoulian e il corpo di Tyrone Power
A inizi anni Quaranta un paio di nuove produzioni con la Fox riportano al successo commerciale Rouben Mamoulian: Il marchio di Zorro e Sangue e arena rivelano un altro volto di Mamoulian. La sua trasformazione da scienziato ad avventuriero si compie grazie all’uso del corpo plastico e leggiadro di Tyrone Power. Un nuovo tipo di figura maschile appare: sempre doppio, ma più elegante seduttore che pazzo arrapato, non uomo d’intelletto ma d’azione, un tragico ballerino che spadeggia e torera contro il destino per vendicare il proprio padre sconfitto.
Dannati da qui all’eternità
Tutti associamo Da qui all’eternità all’immagine di Deborah Kerr e Burt Lancaster avvinghiati sulla spiaggia e accarezzati dalle onde, in una delle scene d’amore più iconiche della storia del cinema. Ma nel famoso film di Fred Zinneman del 1953 la traccia amorosa è in realtà solo uno dei tanti aspetti della vicenda narrata, basata sulle storie di vita e di amicizia di alcuni soldati all’interno di una base militare alle Hawaii, poco prima che l’America prendesse parte al secondo conflitto mondiale.
“La luce fantasma” e i generi in gioco
Come in altri film precedenti il sodalizio con Pressburger, La luce fantasma mostra già la creatività visiva di Powell e la costante fascinazione del regista per il paesaggio e per gli elementi naturali colti nella loro interazione con i personaggi. Un altro motivo di interesse risiede nel piacere ludico con cui Powell abusa consapevolmente delle convenzioni di genere per catturare progressivamente lo spettatore nella narrazione.
I colori ritrovati di “Thaïs”
Un film leggendario, considerato perduto fino al 1938, poi a lungo fruibile solo in copie mediocri e frammentarie. Thaïs è una pietra miliare della storia del muto italiano, la cui estetica e ricerca formale ne fanno un antesiniano del cinema d’avanguardia europeo degli anni Venti. Grazie al restauro di Cineteca di Milano e Cinémathèque française, possiamo ora godere della copia parzialmente imbibita con didascalie in lingua francese, di cui si sono recuperati i colori originali degli ultimi tre atti.
Suso Cecchi d’Amico: saper scrivere con gli occhi
Tra gli sceneggiatori che nel secondo dopoguerra hanno dato vita al cinema neorealista e traghettato il cinema italiano verso la fortunata stagione della commedia all’italiana troviamo, accanto a Sergio Amidei, Cesare Zavattini e altri, Suso Cecchi d’Amico. Non solo una scrittrice, ma una figura in grado di supportare umanamente e artisticamente il regista con cui si trovava a lavorare. Caterina d’Amico ricorda che sua madre era solita ripetere che per scrivere una sceneggiatura bisogna essere in due: il primo scrive, il secondo è il “primo spettatore” del film.
“Lampi sull’acqua” ovvero la morte (di un amico) al lavoro
Wim Wenders e Nicholas Ray: due giganti del cinema, due colleghi e amici, due autorialità che si incontrano in un film che sfugge alle definizioni canoniche. Consapevoli che per il regista statunitense questo sarebbe stato l’ultimo canto, i due decidono di trasformare il progetto in una sorta di documentario sui suoi momenti finali: Ray si offre alla macchina da presa di Wenders in tutta la sua fragilità, mentre il regista tedesco accetta di compiere un atto eticamente problematico immortalando gli ultimi giorni dell’“amico americano”.
Conversazione con Joe Dante
Finalmente è successo: Joe Dante è a Bologna per Il Cinema Ritrovato: “Tanti film degli anni Ottanta hanno avuto un grosso impatto, sono diventati classici magari grazie all’home video e sono stati tramandati alle generazioni successive. Gremlins è uno di questi. In un certo senso è il film che mi rappresenta, quello a cui è immediatamente associato il mio nome, e di certo cercai di metterci quanto più possibile della mia personalità. Ma sono più legato al secondo, che sento più mio”.
Le dive di Rouben Mamoulian
Fin dai suoi primi film Mamoulian ha messo al centro della narrazione la figura femminile. In alcuni film è il punto di vista maschile a definire la posizione della donna. Altre volte però è la soggettività femminile a domandare una propria autonomia e il riconoscimento di uno spettro emotivo più ampio. Non più quindi donne angelo che devono ispirare ed elevare uomini scissi tra materia e spirito, piuttosto donne con una loro agency e forza combattiva che cercano una realizzazione anche attraverso la sfera sessuale.