“As Bestas” e l’istinto animale del presente

Sorogoyen realizza un film sui divari sottili del nostro presente, scendendo in profondità nelle motivazioni, alle origini degli strappi. Come i lentissimi e quasi impercettibili zoom in che ricorrono nel film, As Bestas delinea il particolare, partendo da un tutto che già di per sé era circoscritto. L’investigazione sembra nascere nel rapporto tra spettatore e personaggi. Sorogoyen si avvicina agli intrecci con lunghi dialoghi, discussioni e confronti per scovare l’estremamente umano che allo stesso tempo è estremamente “bestiale”.

“Air – La storia del grande salto” nel canestro del capitalismo sano

Come nelle sue precedenti pellicole, Affleck si circonda di un comparto tecnico di prim’ordine, che il regista sceglie di sfruttare in modo non propriamente autoriale, ma artigiano. Non è verso l’autorialità che desidera andare, ma verso il divertito omaggio a tempi e valori che furono, schematizzati e ridicolizzati negli orrendi mocassini di Vaccaro e nelle fluorescenti fisse sportive di Knight, ed elevati nella visione di futuro di entrambi e della famiglia Jordan. Born in the U.S.A.

“La cospirazione del Cairo” e i meccanismi che sostengono il Potere

La cospirazione del Cairo, vincitore a Cannes 2022 per la migliore sceneggiatura, ci presenta la realtà di un mondo che – per eccellenza – dovrebbe essere il punto di riferimento morale dell’intera sfera islamica, senza demonizzarla, raccontando con rigore, conservando una profonda onestà. Non fornisce soluzioni, né si accanisce contro i “potenti”. Tarik Saleh insiste su un’idea di cinema non “bellico”, ma che rivendica il bisogno di libertà e informazione.

“L’appuntamento” con la storia e le sue ferite

L’appuntamento, presentato nella sezione “Orizzonti” della 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, diretto dalla regista e scenografa macedone Teona Strugar Mitevska, affronta in maniera inconsueta e ironica, tramite il registro del black humor, il tema della memoria, del perdono e dei traumi della guerra che vide a metà degli anni 90 il disgregarsi della ex Jugoslavia e il sanguinoso fronteggiarsi di religioni ed etnie differenti, rendendo nemici gli abitanti di una stessa città, la splendida Sarajevo.

“Leila e i suoi fratelli” dentro il teatro di guerra domestico

Da una parte simile ad altre eroine struggenti, quali Neeta e Keiko, protagoniste rispettivamente di La stella nascosta (Ritwik Ghatak, 1960) e Quando una donna sale le scale (Mikio Naruse, 1960), Leila, interpretata non per nulla da Taraneh Alidoosti. Leila, consapevole ciononostante delle fratture interne alla famiglia e spettatrice tutt’altro che distaccata dei denti di una morsa che stringe da ogni lato. Dall’altra Esmail, coltivatore di un sogno irrealizzabile e di una speranza dai giorni infiniti, con gli ornamenti e i tessuti dell’attesa. Il teatro di guerra, un’umile casa che scotta di febbre, sdraiata anch’essa in un torpido dormiveglia.

“Martha” 50 anni fa

Compreso tra la La paura mangia l’anima, rifacimento proletario di Secondo amore di Sirk, e l’incursione ottocentesca di Effi Briest, Martha porta in ambienti prima barocchi poi goticheggianti una vicenda di rieducazione perversa e vampirismo coniugale, magari influenzata dalle due regie ibseniane del periodo (Hedda Gabler al Freie Volksbühne di Berlino nel dicembre ’73 e Nora Helmer, adattamento di Casa di bambola per il piccolo schermo), e calata in un’atmosfera noir, derivata dal racconto di Cornell Woolrich cui è liberamente ispirato il soggetto.

“Terra e polvere” ci insegna a demolire e ricostruire

Cos’è più forte dell’apatia? Quale sentimento può restituire un’immagine potente, complessa e completa, della vita in un luogo in ricostruzione? Youtie e Guiying vivono in una zona poverissima nel nord-ovest della Cina. Lui è un contadino, l’ultimo della sua famiglia ancora celibe; lei - sterile e con una disabilità - ha superato l’età considerata idonea per non avere ancora un marito. Decidono di sposarsi, tramite un matrimonio combinato. Quell’incontro forzato si trasforma in...

“Lady Snowblood” 50 anni fa

Lady Snowblood, un revenge movie in chiave chanbara dai colori pop, ricoperto da quegli schizzi, o meglio, spruzzi di sangue che avevano iniziato a sgorgare nella scena finale di Sanjuro (Kurosawa, 1962), è un film che insegue il fumetto ed è tratto da un manga gekiga del 1972-73 che a sua volta insegue il cinema, disegnato da Kazuo Kamimura, il “pittore dell’era Showa”, divenuto celebre per le sue eleganti figure femminili cariche di erotismo, talmente cariche che Lady Snowblood viene considerato seinen (v.m. 18, diremmo noi).

“La chiamata dal cielo” di Kim Ki-duk oltre la morte

Realtà, fantasia e tutta la tensione che persiste quando le due dimensioni si sovrappongono: a ben vedere, la trama potrebbe essere considerata la summa di gran parte della poetica di Kim Ki-duk. Girato nel 2019 in Kirghizistan e portato a termine dopo la prematura scomparsa del regista per complicazioni da COVID-19, finisce per rappresentarne il testamento. Ma se il girato è tutta farina del suo sacco, le scelte legate alla finalizzazione dell’opera e alla sua post-produzione sono state affidate completamente agli amici e colleghi.

“Roxy” e la mania del controllo

Il film è la storia di un uomo ossessivo-compulsivo che, imparando il cinismo e la tenerezza da chi lo circonda, arriva a estendere sulla vita di una famiglia in pericolo le manie di controllo che già esercita dentro e fuori casa: durante i titoli di testa una serie dettagli ce lo mostra mentre regola meticolosamente il traffico di una ferrovia in miniatura; nel suo appartamento ogni oggetto ha un posto preciso; nel bar la macchina da presa segue i gesti del tassista quando non resiste a pulire un ripiano appena appena sporco.

“Il ritorno di Casanova” e le scatole cinesi ai limiti del farsesco

Al di là di un’ubiquitaria e modaiola apologia del femminile, Salvatores non sembra ben sapere dove andare a parare esattamente. La sua disamina dell’invecchiamento non possiede né un acume analitico tale da stimolare particolari riflessioni, né una suggestione emotiva in grado di coinvolgere empaticamente lo spettatore. Le storie dei suoi due protagonisti continuamente si interfacciano tra loro sullo schermo, e si concludono entrambe in una sfida antagonistica contro un rivale giovane: c’è chi vince, c’è chi perde, palla al centro.

“Pantafa” nell’incertezza degli archetipi

Sotto un profilo pragmatico Pantafa vorrebbe percorrere il sentiero battuto negli ultimi anni da Paolo Strippoli e Roberto de Feo con le rispettive opere autonome (Piove, 2022 e The Nest, 2019) e con l’ambizioso lavoro congiunto (A Classic Horror Story, 2021), opere che, per quanto non impeccabili, lasciavano trasudare un buon grado di originalità e propensione al rischio. Attributi che si rinvengono a fatica nel secondo lungometraggio di Scaringi, audace negli intenti ma di fatto eccessivamente timoroso e incerto.

“Él” ritratto di un paranoico. Nascita di un capolavoro

In occasione della distribuzione di “Él” restaurato, ecco alcune dichiarazioni di Luis Buñuel e alcune fonti critiche dedicate alla storia della pellicola. Secondo l’autore “Él è uno dei miei film preferiti. A dire il vero non ha niente di messicano. L’azione potrebbe svolgersi in qualsiasi posto, dato che presenta il ritratto di un paranoico”. Secondo Farassino, “un saggio di entomologia umana”, tra i picchi del periodo messicano. 

“La città verrà distrutta all’alba” 50 anni fa

Prima che il nome di Romero venisse associato indissolubilmente ai suoi film di zombie, l’autore statunitense dirige una piccola gemma del cinema fantapolitico: La città verrà distrutta all’alba. Il film racconta di un’arma chimica caduta accidentalmente nei pressi di una cittadina della Pennsylvania e dell’escalation di violenza che ne consegue. È proprio nella risposta dei personaggi alla repressione militare che emerge la personalità autoriale del regista, che non si limita a criticare le iniquità insite nelle strutture di potere, ma analizza l’inconscio collettivo statunitense. 

“Come eravamo” 50 anni fa

Nonostante il lungometraggio di Pollack sia così perfettamente calato nel suo tempo e proponga evidenti e precisi riferimenti storici, l’amore che viene portato in scena trascende la periodizzazione dell’opera e commuove anche lo spettatore contemporaneo. Come eravamo è un chiaro esempio di perfetto equilibrio registico tra una recitazione drammatica e divistica – comunque capace di trasmettere con sincerità le emozioni – una sceneggiatura non eccessivamente patetica

“Il frutto della tarda estate” e come resistere senza spezzare i rami 

Quello di Sehiri è espressione di un cinema che più di tutto è interessato ad aderire alla realtà, esplorandola senza stereotipi. In Il frutto della tarda estate emerge una paradossale contraddittorietà, tra spazio privato e pubblico, evoluzione e involuzione, libertà e asservimento. Ci si concede la possibilità di esprimersi attraverso silenzi rivelatori o confessioni impellenti, in un’alternanza tra il buio e la luce, quella che penetra tra i rami. E sono proprio i rami ad essere più di tutto protetti, mai spezzati: come se dovessero resistere, proprio come i lavoratori.

“Stranizza d’amuri” e la protezione dello spettatore

Per quanto Fiorello dimostri di cavarsela dietro la macchina da presa, è evidente una certa ripetitività nella raffigurazione di quel tipo di atmosfera caratteristica di coming of age d’ambientazione anni Ottanta – in più di un’occasione la mente di chi guarda va inevitabilmente a Estate ’85 (2020) o Chiamami col tuo nome (2017) – che di certo non aiuta a caratterizzare con originalità un film abbastanza ordinario nella sua confezione.

“Vera” con tutte le sue contraddizioni

Vera è un film che non si guarda per la storia d’amore tossica, gli inganni spiccioli e gli stereotipi, ma perché Vera Gemma è straordinaria. La sua scelta di un’estetica non conforme alle norme e la sua camminata possente sul tacco 12 – enfatizzata da una regia che la asseconda e la segue nel suo muoversi tra audizioni borghesi e la periferia romana – e la sua presenza scenica sono probabilmente le cose che hanno portato Vera alla vittoria nella sezione Orizzonti alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia.

“Le due sorelle” 50 anni fa

Nel 1973 De Palma girò Le due sorelle, thriller al femminile e horror psicologico che anticipa molti elementi tematici e alcuni stilemi del suo cinema immediatamente successivo: le morbosità familiari di Complesso di colpa, la paura della sessualità femminile in Carrie, lo split screen inimitabile di Blow Out, lo sdoppiamento patologico in Dressed to Kill, e ancora il dichiarato voyeurismo della soggettiva, i colpi di scena suggeriti dai giochi d’ombre e le ossessioni private di tanti suoi personaggi a venire.

“Armageddon Time” famigliare e politico

Gli anni Ottanta che Gray mette in scena non hanno niente delle colorate e nostalgiche ricostruzioni pop che popolano tanti piccoli e grandi schermi degli ultimi anni: i sobborghi della Grande Mela dove si muove il protagonista sono spenti, le case anguste, le scuole pubbliche fatiscenti e abbandonate dai finanziamenti statali, le metro una replica meno metafisica e assai più concreta di quelle dei Guerrieri della notte. Ovunque si avverte una tensione sociale e razziale  figlia di quegli anni difficili (seppur cotonati e avvolti dalla disco music) a un passo dall’elezione a presidente di Ronald Reagan, che non avrebbe certo migliorato le cose.

“Le mura di Bergamo” oltre la generazione scomparsa

Le mura di Bergamo separano la parte alta dalla parte bassa della città. Separando, definiscono una comunità di persone che vive in uno stesso territorio. Allo stesso tempo però evidenziano una frattura entro il tessuto cittadino e una distanza tra i diversi cittadini di Bergamo. Messe in relazione con un condominio qualunque della Bergamo sotto assedio pandemico nel marzo 2020 quella frattura comunitaria si estende a ogni abitazione. Costretti a vivere isolati, i bergamaschi vivono una condizione...