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“Enea” che prima afferma e poi nega se stesso
Castellitto, insieme ad altri come i fratelli D’Innoncenzo, sembra che stia mettendo in pratica delle prove, procedendo in modo empirico, affermando e poi negando, prima a sé stesso, poi a noi, chiedendoci qualcosa in più, di seguirlo, di andare oltre. Dovremmo capire però – lo capiremo sicuramente in futuro – se questi tentativi porteranno da qualche parte o se saranno proprio la cifra stessa di questi lavori all’insegna di un cinema digitale frammentato.
“Diabolik – Chi sei?” secondo lo sguardo di Eva Kant
Se l’intera trilogia costituisce un’esperienza visiva singolare e seducente per l’uso sapiente del colore e per il rigore filologico nel trasporre sullo schermo l’eleganza stilizzata delle tavole originarie, nell’ultimo capitolo i Manetti Bros abbandonano parzialmente la scelta stilistica di aderire alla fissità grafica dei fumetti che in qualche modo congelava l’azione nei due film precedenti e sviluppano la diegesi del film su più linee narrative, mischiando registri stilistici ed epoche differenti.
La catabasi suicida della “Chimera”
È difficile capire dove, in Arthur, finisca la combattuta fascinazione per i corredi funerari che dissacra e dove inizi il sospetto che, se profana abbastanza tombe, prima o poi troverà quella che cerca. È l’ambivalenza dell’Appeso, la carta dei tarocchi richiamata dalla locandina del film: “Una carta di “gioiosa resa” – ha scritto Francesca Matteoni – oppure “di blocco e sacrificio doloroso”. E l’Appeso è “esplicitamente un condannato, uno sciamano, un esule, un criminale, qualcuno che ha il coraggio paradossale di arrendersi”.
“La chimera” e l’insistenza delle rovine
I tombaroli di Alice Rohrwacher cercano l’Etruria e non l’Italia, vogliono gli oggetti, i soldi, il riscatto, eppure pedinandoli il film scava gli strati, non alla ricerca di linee temporali, ma dei punti di insorgenza. Non l’origine, ma la nascita delle condizioni. Non la cronologia, ma il “tempo profondo”. In questo senso l’archeologia sembra una futurologia, una ricerca dei futuri perduti, di quelli non scelti. La cultura etrusca come società a genealogia femminile, matriarcale.
“Mary e lo spirito di mezzanotte” minuzioso e internazionale
Enzo D’Alò guarda all’Irlanda trovando in Roddy Doyle la penna con cui confrontarsi. Sa bene di avere tra le mani del materiale ottimo per la sua sensibilità. Dunque, con la giusta esperienza maturata in carriera, rilancia la sfida concentrandosi, come forse mai fatto in maniera così ambiziosa sino a oggi, sulla forma del suo film. L’animazione ha un sapore internazionale per la fluidità del tratto e la complessità della regia.
“Mur” e la denuncia senza grida
Mur è un film che ha la forza di denunciare senza il bisogno di gridare, le immagini sono chiare e non servono troppe chiarificazioni. Così la camera scorre sui militari disposti al confine, sulle tecnologie repressive tra droni e telecamere termiche e si resta impressionati di fronte all’enorme dispendio economico predisposto dal governo per un compito così irrazionale e disumano. La regista sceglie di non aggiungere parole, basta vedere per capire.
Nella biblioteca di Antonio Faeti per “Continuare il racconto”
In uno dei passaggi più belli di questo film che si vorrebbe infinito come la biblioteca che ne è protagonista, Antonio Faeti racconta di aver visto I 400 colpi nella sua prima settimana da insegnante delle elementari: una visione che anticipa quello che osserverà nei suoi anni di scuola e che diventa simbolo di un modo di intendere la sua professione, con il senso di indeterminatezza finale su quelle note che Faeti ricorda ancora e che si mette a canticchiare davanti alla macchina da presa.
“Una claustrocinefilia” e l’amore (per il cinema) ai tempi del Covid
L’opera prima del critico Alessandro Aniballi si presenta come una stratificazione sinergica di diversi contenuti e approcci, decodificabile nelle sue singole componenti solo a costo di snaturarne l’organicità e l’efficacia espressiva. Una claustrocinefilia è certamente un documentario metacritico finemente strutturato, ma prima di tutto una sofferta storia d’amore a senso unico, fatta di disillusione e abbandono quanto di dipendenza e affiatamento, verso quell’oscuro oggetto del desiderio che è il cinema.
Decostruzione dell’uomo violento: “Il popolo delle donne” e “Io e il Secco”
Il tema della violenza di genere appare a più riprese nella rassegna di Visioni Italiane. Tra i vari titoli spiccano, per sensibilità e scelte registiche, Il popolo delle donne (Yuri Ancarani, 2023) e Io e il Secco (Gianluca Santoni, 2023), lungometraggi presenti in programma come eventi speciali. Sono entrambi film che meritano plauso per il trattamento del tema: la regia e le scelte di sceneggiatura lasciano spazio alla mente di comprende e al cuore di sobbalzare di fronte una realtà spaventosa.
“Misericordia” elogio della miseria
Dopo Le sorelle Macaluso del 2020 Emma Dante torna dietro la cinepresa, riportando su schermo una sua pièce teatrale. Da quella casa angusta del palermitano in cui vivevano le quattro sorelle, la regista apre il suo sguardo mantenendo però quella sensazione di claustrofobia che contraddistingueva l’opera precedente. Infatti le inquadrature sono studiate per togliere spazio al cielo, tendendo sempre verso il basso, verso le profondità del mare dalle quali le protagoniste non riusciranno mai a risalire.
“Ovosodo” e il ritorno del cult spensierato
Il successo di pubblico e critica quanto i riconoscimenti nazionali e internazionali parlano chiaro sulla popolarità di Ovosodo. Il terzo lungometraggio diretto interamente da Paolo Virzì si è guadagnato il titolo di film di culto anche perché invecchiato molto bene, sia dal punto di vista tecnico che per la persistente attualità del suo messaggio. In questa commedia generazionale e di (de)formazione si trovano già in nuce i temi e la cifra stilistica del Virzì che sarà.
“La guerra del Tiburtino III” tra citazioni e allegoria
Luna Gualano, alla sua terza regia, conferma la sua passione cinefila per i film statunitensi e una propensione alla cinematografia anni Cinquanta. Ne La guerra del Tiburtino III l’omaggio a L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel diventa esplicito con l’apparizione del bruco che esce dal meteorite ed entra nel corpo dell’umano, forse un po’ anche Il demone sotto la pelle di David Cronenberg.
“Io, noi e Gaber” tra corpo e linguaggio
Il punto di forza di Io, noi e Gaber sta nella selezione dei materiali d’archivio, capaci di raccontare i diversi momenti della biografia artistica e culturale di Gaber. Un importante nucleo è formato dalle immagini che illustrano le nuove modalità del cantante di intendere lo spettacolo televisivo e, al tempo stesso, evidenziano il rapporto controverso di Gaber con la televisione e la sua aspirazione verso una diversa modalità artistica.
“C’è ancora domani” per il potere della sorellanza
Cortellesi sa che i mutamenti sociali e culturali passano anche per i cambiamenti di sguardo, per gli scardinamenti degli stereotipi che le narrazioni portano con sé, e allora non ha paura di offrirci uno sguardo femminista per raccontare la sua storia. C’è ancora domani è un film che celebra il potere della sorellanza, perché possiamo immaginare e progettare un cambiamento, ribellandoci a un sistema patriarcale che da sempre vuole le donne succubi e silenti, ma possiamo realizzarlo solo se agiamo insieme, solo se ci poniamo in alleanza con le altre.
“C’è ancora domani” e molto lavoro da fare
C’è ancora domani interroga chi guarda, facendo comunicare mondi – apparentemente – lontani. Così i primi minuti in 4:3 presentano come uno schiaffo la vita di Delia e dialogano con i titoli di testa al rallentatore per le strade in fermento pre-repubblicano. Anche la colonna sonora contemporanea duetta con la ricostruzione precisa di un quartiere romano del Dopoguerra e con i molti riferimenti cinefili.
“Comandante” magnetico ma dottrinale
Al cuore della vicenda reale e del film stesso c’è la figura carismatica di Todaro, interpretato da Pierfrancesco Favino alle prese per la seconda volta con il personaggio di un giusto che si ritrova in guerra dalla parte sbagliata della storia, che a chi gli dà del fascista risponde di essere “un uomo di mare”. A dispetto del magnetismo personale dell’attore, De Angelis ha però bisogno di molta voce off e di mostrarcelo nella posizione del loto per tentare di renderne la statura spirituale e morale.
“La solitudine è questa” di fronte alla scrittura di Tondelli
Dal libertino redento nella sofferenza e nel cammino verso la conversione allo scrittore generazionale e di colore locale, Tondelli è stato ingabbiato in etichette comode e rassicuranti. Il contrario della sua scrittura fluida e de-localizzante, capace di trascendere luoghi e tempi, e di mettersi in contatto non solo con la via Emilia o con una determinata generazione, ma con chi “sente di stare al mondo nella giovinezza”, dando voce ad una rappresentazione del corpo, anche omosessuale, nel desiderio e nella malattia.
“Nuovo Olimpo” omaggio alle zone franche dell’amore
Dopo alcune opere meno convincenti, Özpetek recupera qui una più sincera spinta autobiografica (sempre presente nel suo cinema ma mai così palesemente denunciata, con tanto di cartello “ispirato a una storia vera”). Ha dalla sua due protagonisti (il taciturno Pietro di Andrea Di Luigi e soprattutto il vitale Enea di Damiano Gavino) bravi e intensi, un bel gruppo di comprimari e il personaggio della cassiera Titti, una dea dell’amore con le sembianze di Mina e la verve partenopea di una meravigliosa Luisa Ranieri.
“Palazzina Laf” tra vittima e carnefice
La Palazzina Laf, quella che dà il titolo al film e che Riondino e il suo co-sceneggiatore Maurizio Braucci mettono al centro della narrazione, è una sorprendente, surreale metafora. È qui che il sogno fantozziano dell’impiegato fancazzista cambia di segno e si trasforma in un incubo, un girone dantesco in cui l’inattività forzata, il demansionamento immotivato, il lento scorrere del tempo senza scopo e senza possibilità di fuga, diviene un’arma micidiale nelle mani dei padroni.
“Holiday” e la verità come domanda
Girato lungo le strade impervie e i sottopassi delle ferrovie di una Liguria volutamente aspra e in una Genova poco riconoscibile, Holiday si concentra, come BB e il cormorano (2003) e Padroni di casa (2012), i due precedenti film di Gabriellini, sull’idea di limbo esistenziale, inseguendo i protagonisti nella loro ricerca di sospensione dalla vita e dalle sue responsabilità. In questo l’idea di vacanza come sospensione metaforica è centrale per il film.