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“Profeti” e il confine della gabbia
Alessio Cremonini, seppur abbandonando le carte testimoniali di Sulla mia pelle, realizza un lavoro (non tanto di finzione a pensarci bene) sempre su una vittima di sequestro, sempre forzata e deturpante. Ma mentre nel precedente lavoro il corpo lentamente si deteriorava, in Profeti è la mente a trasformarsi, il corpo diventa strumento di verbalizzazione, di parola divina, di scontro ideologico.
“Io vivo altrove!” e l’ecosostenibile leggerezza dell’essere
Il primo film di Battiston da regista è un prodotto quasi del tutto inedito nel panorama cinematografico italiano, inserendosi in una sorta di filone al limite della commedia agrodolce in salsa ambientalista e che fa della sua derivazione letteraria uno dei suoi punti di forza. Il soggetto infatti è adattato liberamente dall’incompleto flaubertiano Bouvard e Pécuchet, in cui due amici si avventurano in stravaganti e molteplici disavventure.
“Chiara” piena d’amore con tutti i suoi difetti
Non sarà un film perfetto, ma è indubbio che Chiara sia un film pieno d’amore. Amore per la storia che racconta, amore per la protagonista e per le sue motivazioni, amore per la terra e per il tempo in cui si svolge. Amore per il grande cinema italiano di costume e religioso (Rossellini e Pasolini su tutti, “oltraggiati” e omaggiati), amore per tutto ciò che possa recidere i legami con quello stesso cinema. Amore per tutto ciò che non è stato raccontato. Amore per le potenzialità del cinema. Un amore che finisce per sovrastare il film stesso, ingessato in una ricercata naturalezza, ma che si fa portavoce di una adorabile fragilità.
“Spaccaossa” e il lamento funebre del dramma sociale
È grigio il mondo di Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta. È grigio innanzitutto a livello visivo, grazie a una puntuale e suggestiva fotografia curata da Daniele Ciprì. Il regista aveva le idee molto chiare sull’atmosfera che doveva emergere dal lavoro luministico: ricordandosi di quando da bambino assisteva alla processione del venerdì santo a Partinico (PA), voleva rievocare l’effetto che il manto nero della statua della Madonna aveva sui piccoli astanti quando ai loro occhi si trovava a coprire il sole. Questo “effetto eclissi” nel film ben delinea il mondo senza luce in cui si muovono le anime disperate del racconto.
“Notte fantasma” neo-noir fisico e dissonante
Quello del regista romano Fulvio Risuleo non è forse tra i nomi più sbandierati nelle nuove leve del cinema italiano, ma sicuramento è uno dei più interessanti e versatili. Autore di film e disegnatore di fumetti, si è fatto le ossa con vari cortometraggi e web-serie, per poi debuttare nel lungometraggio con Guarda in alto, a cui è seguito Il colpo del cane. Ma è probabilmente con il suo nuovo Notte fantasma che il regista raggiunge la sua maturità artistica. Un film che si distacca dal gusto per la commedia e per il grottesco visto nei film precedenti, e che abbraccia i territori hard-boiled del noir contemporaneo con un’impronta del tutto atipica e personale.
“Acqua e anice” con la gentilezza del tocco
Anche se lo spettatore smaliziato saprà leggere tra le righe e capire in anticipo il vero scopo del viaggio, ciò non inficerà il piacere della visione perché Acqua e anice è un bel film, che ben si inserisce in una tradizione cinematografica tutta italiana non solo perché retto da una di quelle attrici che hanno contribuito a rendere grande il cinema del nostro Paese (Stefania Sandrelli), ma perché eredita dalla commedia all’italiana quel mix di dolce e amaro che riesce a far riflettere su temi importantissimi con un tocco gentile.
“La California” tra la via Emilia e il West
L’invito del grande Pier Vittorio Tondelli nel racconto “Viaggio” (Altri Libertini, 1980) a farsi riempire la testa di storie risuona chiaro nel nuovo film di Cinzia Bomoll, ambientato in quella stessa provincia emiliana sulle cui strade lo scrittore “spolmonava” quello che aveva dentro e raccontava i molteplici itinerari esistenziali che incrociava. La California intreccia le storie degli abitanti della frazione/finzione emiliana con la narrazione di formazione di Ester e Alice, sorelle gemelle, figlie di Yuri, un padre punk eterno adolescente che alleva maiali, e di Palmira, una madre irrimediabilmente depressa e disorientata dalla fine del comunismo.
“Bentu” e il tempo della natura
Quarto adattamento dalla letteratura sarda per Mereu (dopo Sonetàula, Bellas mariposas e Assandira), come in altri film del cinema sardo contemporaneo (vedi proprio Assandira) al centro della narrazione vi è anche lo scontro generazionale, riformulazione del rapporto con il Padre padrone. Angelino, il giovanissimo aiutante di Raffaele, ha i suoi desideri di crescita ed emancipazione. Un nuovo scontro di temporalità si presenta: la frenesia della giovinezza e la pazienza della vecchiaia.
“Princess” non è la Bella Addormentata
Princess è un film di contrasti e di polarità, nei luoghi, negli avvenimenti come nei colori: non solo il bianco/nero della pelle, ma anche quelli fluorescenti delle parrucche e dei vestiti delle nigeriane e quelli grigi della città. Il film è comunque attento a non costruirsi tutto sul contrasto italiano/nigeriane: ci sono differenze di classe ben evidenziate tra i clienti italiani e ci sono contrasti all’interno dello stesso gruppo delle donne che litigano non solo per i clienti ma anche per i rapporti da tenere con le famiglie di origine.
“Pasolini – Cronologia di un delitto politico” e la colpa senza fine
Pasolini. Cronologia di un delitto politico è un modo per celebrare il processo invocato dallo scrittore e regista, sia attraverso il famoso articolo “Che cos’è questo golpe? Io so” pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, sia attraverso il romanzo Petrolio. Le testimonianze e i materiali raccolti da Angelini parlano di una classe politica indifferente, quando non collusa con la Destra fascista, verso la persecuzione giudiziaria, mediatica e anche fisica a cui Pasolini fu sottoposto fin dal 1949: un processo per oscenità in luogo pubblico, che gli provocherà prima una condanna e, successivamente, un’assoluzione in appello quando però Pasolini era già stato sospeso dall’insegnamento ed espulso dal PCI.
Ricordando Piombino. “La bella vita” ovvero l’opera prima di Paolo Virzì
Planando tra l’alto e il basso, il film è un degno erede della grande commedia all’italiana; i toni del drammatico appaiono smorzati quando, nell’intreccio narrativo e nelle peculiarità dei personaggi, raggiungono la misura di un’apparente leggerezza. Nella sceneggiatura firmata da Francesco Bruni, che collaborerà con Virzì nel successivo Ferie d’agosto (1996), in Ovosodo (1997) fino a Il capitale umano (2014), le figure dell’operaio, della cassiera e del presentatore televisivo accolgono le caratteristiche umane e ideologiche che saranno ricorrenti nei futuri soggetti conferendo all’intera filmografia del regista toscano una riconoscibile fisionomia.
“La stranezza” e le zone d’ombra pirandelliane
Il regista siciliano deve aver intuito che il compito del cinema non è soltanto ricostruzione filologica o calco esatto di oggetti ben definito, ma anche evocazione, atmosfera e bugie a fin di bene. La stranezza è il filler di una zona d’ombra che fa dello spirito il suo obiettivo, liberandosi della pesantezza e degli ostacoli dell’adattamento. Non c’è arma migliore del tradimento per ottenere un risultato un risultato fedele all’originale. La narrazione si concentra sulla commistione di arte e vita, una cifra centrale nella produzione di Pirandello.
“Piove” tra Stephen King e Ari Aster
L’opera miscela gli stilemi del genere thriller/horror con il dramma familiare, strizzando l’occhio alla poetica di Ari Aster. Suddiviso in tre atti – Evaporazione, Condensazione e Precipitazione – ha come suo punto di forza la fotografia di Cristiano Di Nicola. La macchina da presa si muove lenta e sinuosa in spazi tetri e angusti, cambiando spesso la messa a fuoco e la sua angolazione: inquadrature dall’alto, dal basso, campi lunghi, primi piani, grandangoli, dettagli, riflessi. Senza tralasciare le superbe panoramiche a schiaffo che permettono di giocare con la verticalità e l’orizzontalità delle immagini e non solo.
“Let’s Kiss” e la rivoluzione gentile di Franco Grillini
La rivoluzione gentile di Franco Grillini, una rivoluzione “senza morti, senza feriti, senza spargimenti di sangue” ha potuto realizzarsi grazie alla sua autenticità di persona in primis, ed al coraggio di mettersi in discussione in tempi in cui parlare di omosessualità in modo pubblico significava attirare gli strali di fascisti, moralisti, perbenisti, cattolici integralisti. Ha ragione Grillini, nella testimonianza raccolta dal film, quando lamenta che “chi ha 20 anni adesso non sa nulla del passato, i giovani che dicono non è cambiato nulla mi fanno salire la mosca al naso perché non è vero, la rivoluzione c’è stata”. Ecco perché i ventenni di oggi, i millennials, dovrebbero correre in massa a vedere questo documentario.
“Nel mio nome” e la possibilità di scegliersi
L’autore centra l’obiettivo seguendo per due anni quattro amici nel periodo della loro transizione e organizzando in sei mesi di montaggio un racconto delicato, affettuoso e genuino. Raffaele, Andrea, Leonardo e Nicolò (le loro età comprese tra 23 e 33 anni) si aprono allo sguardo deciso ma sempre rispettoso di Bassetti, lasciando che la macchina da presa si inserisca nei loro spazi condivisi, nelle loro case durante le videochiamate (ricordi da una pandemia che ha stretto ancor di più le maglie di una gabbia esistenziale), nei loro sogni e nelle loro aspettative.
L’amarezza dell’impossibile. “Nostalgia” e il cinema di Mario Martone
Nostalgia (tredicesimo film di Mario Martone) è un film bellissimo e saldamente collocato nella filmografia del suo regista, oltre che intriso del suo impeccabile stile (sentimentale, fotografico e architettonico) tanto da esserci apparso a tratti come il dagherrotipo de l’Amore molesto, nella sua versione virile. Nostalgia è un film dall’anima variegata e multigenere, pullulante di una eterogeneità tipica napoletana (così come il suo protagonista è multietnico e poli/identitario, musulmano, napoletano, emigrante e scugnizzo), che inizia come un thriller, si sviluppa come un melodramma e termina con un colpo di scena ferale che da alcuni è stato inteso come quello di un film “civile”.
“La nuova scuola genovese” e il filo rosso della musica
“Chiedersi se Genova è la città dei cantautori è come chiedersi come mai Liverpool ha generato i Beatles o perché il rock’n’roll sia nato negli Stati Uniti”: si apre così, su queste parole di Vittorio De Scalzi (storica voce dei New Trolls), il documentario scritto dal giornalista musicale Claudio Cabona e diretto da Yuri Della Casa e Paolo Fossati La nuova scuola genovese, un docufilm che esplora i punti di contatto e possibili background comuni tra cantautorato (genovese) e rap.
“Mother Lode” nel paradiso del diavolo
È un bianco e nero con delle sfumature originali che rendono Mother Lode un prodotto audiovisivo osmotico. La finzione costruita è talmente ingenua, talmente folcloristica, da diluirsi con estrema naturalezza in una dimensione intima fatta di spazi interstiziali dell’anima. Ha senso chiedersi se un racconto di questo tipo precluda una caratteristica centrale della realtà oggettiva? Sembra invece che il lavoro sulla fotografia aggiunga, oltre alla garanzia di veridicità, anche un portato significativo di mistero come qualità decisiva dell’esperienza umana.
“La tana” tra enigma emotivo e sensualità dei corpi
“Si muore un po’ per poter vivere”, intonava Caterina Caselli in un suo intramontabile brano del 1970. Ma non è la colonna sonora di questo film, che usa invece, musica diegetica per scene destinate a diventare “cult” con chiari riferimenti al cinema di Xavier Dolan. È il sentimento predominante nel linguaggio di Lia (Irene Vetere) che si esprime per mezzo di strani “giochi” da imporre a Giulio (Lorenzo Aloi) e mentre una seppellisce paure e sofferenze nel suo ventre, l’altro prova ad esplorare la “tana” del dolore con una timida torcia alimentata da speranza e amore.
“Anima bella” e il racconto della fragilità umana
Se Manuel pedinava il suo protagonista con incessante intensità, Anima bella – pur rimanendo sempre attaccato alla protagonista Madalina – sembra aprire di più lo spazio alla società pubblica, e non solo al mondo privato. Le riprese fluide, che accompagnano Mada in giro per la campagna in motorino o dentro gli squarci di squallore urbano nella seconda parte del film, servono a fare di lei una testimone di un orizzonte poco conosciuto e anche poco raccontato dal cinema italiano. C’è qualcosa di idealistico e fragile nel cinema di Albertini, che probabilmente – vista la padronanza tecnica e narrativa – sarebbe buon protagonista di progetti mainstream, che tuttavia al momento ha scelto di non intraprendere.