“Pasolini – Cronologia di un delitto politico” e la colpa senza fine
Pasolini. Cronologia di un delitto politico è un modo per celebrare il processo invocato dallo scrittore e regista, sia attraverso il famoso articolo “Che cos’è questo golpe? Io so” pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, sia attraverso il romanzo Petrolio. Le testimonianze e i materiali raccolti da Angelini parlano di una classe politica indifferente, quando non collusa con la Destra fascista, verso la persecuzione giudiziaria, mediatica e anche fisica a cui Pasolini fu sottoposto fin dal 1949.
“Nata per te” e per tutte le famiglie
Quante altre volte, per slancio idealistico sulla “giusta causa” da promuovere, abbiamo visto un personaggio farsi bandiera di un obiettivo, senza se e senza ma, affrontando e abbattendo man mano ogni argomentazione contraria: qui Luca, fervente cattolico, ammette di ritenere in cuor suo che due genitori siano meglio di uno solo single; non solo, la costruzione del suo rapporto con Alba non ricalca lo schema difficoltà-superamento alla Kramer contro Kramer, ma si giova di un provvidenziale aiuto dei parenti ed è un lavoro mai finito, esattamente come accade in qualsiasi famiglia.
“Felicità” come volontà di salvezza
Non stupisce che Felicità abbia vinto il Premio degli spettatori – Armani beauty della sezione Orizzonti Extra all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: l’opera di Ramazzotti presenta allo spettatore famiglie tossiche e disfunzionali, elegge a eroina una “donna storta” (parole dell’autrice), pone in evidenza la necessità di ricontestualizzare nel nostro presente il ruolo e il concetto stesso di famiglia, eppure, nel suo sostenere l’idea che tutti hanno diritto alla felicità, risulta un film poetico, delicato, emozionante.
“Un sterminata domenica” dentro lo specchio delle immagini
In uno scenario fra Pasolini e Caligari, Parroni sembra tornare alla nouvelle vague per raccontare l’insofferenza giovanile allo status delle cose. Al di là di alcune affettazioni, la cifra stilistica c’è e passa attraverso una forma libera nell’intenzione e studiatissima in concreto: predominanza assoluta della macchina a mano, inquadrature grezze e tremolanti, montaggio frammentato, un occhio molto buono per l’utilizzo di punti di ripresa inusuali ma efficaci.
“Le mie poesie non cambieranno il mondo” e l’ispirazione della vita quotidiana
Le mie poesie non cambieranno il mondo, è il documentario presentato in anteprima alle Giornate degli autori dell’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia (prodotto da Fandango e Rai Documentari), che la giornalista Annalena Benini e lo scrittore Francesco Piccolo hanno dedicato al racconto dell’ultimo tratto di vita della poeta Patrizia Cavalli (come amava definirsi) e all’immortale scia luminosa lasciata dai suoi versi.
“Il più bel secolo della mia vita” e il road movie degli opposti
A dispetto del titolo banalotto, uguale a stormi di altre commedie italiane che tentano di sedurre il pubblico a colpi di superlativi, Il più bel secolo della mia vita merita dunque certamente una visione: nulla di inedito ma tutto molto ben centrato e, nella prima parte in particolare, anche parecchio divertente. Niente male per una commedia che porta avanti un tema sociale col giusto bilanciamento fra serietà e facezia.
“Io Capitano” e l’umanità dell’eroe ingenuo
Un coming of age concentrato nel tragitto fra il Dakar e le coste della Sicilia, durante il quale il disincanto di un adolescente viene temprato dalla crudeltà degli uomini per trasformarsi rapidamente in senso di responsabilità e propensione al sacrificio. Dopo i successi ottenuti con la sua trasposizione di Pinocchio (2018), Garrone tesse nuovamente le trame di una fiaba in cui il protagonista ingenuo intraprende un viaggio in cui deve confrontarsi con creature mostruose che ricambiano la sua fiducia con l’inganno e puniscono la sua innocenza con il dolore.
La poetica del desiderio. Un bilancio del cinema di Matteo Garrone
Quella di Matteo Garrone è una carriera estremamente interessante da studiare in un’ottica di sperimentazione e di eclettismo. Nei suoi oltre vent’anni di carriera Garrone ha cambiato genere cinematografico molte volte, finendo così per essere associato non tanto ad una tipologia di racconto, quanto ad una precisa prospettiva artistica sul mondo. Garrone non ha studiato cinema; la sua formazione è nella pittura e ciò è evidente in tutti i suoi film.
Potere e follia. Ancora su “Rossosperanza”
In un mondo tendente all’uguaglianza asettica e pronto ad abbracciare il nuovo millennio, la speranza di Annarita Zambrano è forse quella di far vincere per una volta quello che abbiamo rimosso o confinato in edifici facilmente identificabili con Villa Bianca, luoghi in cui si è cercato di perseguire l’eliminazione riscontrata da Basaglia. Soffocare conduce alla morte, è risaputo, ma che bello sapere che sullo schermo si può allentare la morsa violenta e lasciare che i corpi degli oppressi reagiscano non soltanto narrativamente ma anche con il sangue.
“Rossosperanza” e la borghesia viziata
Attraverso uno spaccato anni Novanta un po’ grottesco e un po’ idillico, Rossosperanza accompagna lo spettatore in un mondo dalle tinte gotiche e glam, nel quale lo sfarzo e l’eccesso diventano l’emblema di quel berlusconismo che ha delineato l’immagine nazionale. Gli elementi della mondanità sono tutti presenti: i club, le droghe sintetiche, la prostituzione e una borghesia romana bacchettona e ipocrita.
“Come pecore in mezzo ai lupi” e il paesaggio urbano instabile
Coinvolgente opera prima di Lyda Patitucci che, per i numerosi pregi, meriterebbe una distribuzione anche nella stagione autunnale, Come pecore in mezzo ai lupi stravolge gli equilibri del genere e di genere, presentando una donna poliziotto definita dal suo lavoro più che non dalle sue relazioni, e un criminale maschile fragile e introspettivo. Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli utilizzano al meglio la sceneggiatura di Filippo Gravino per un ritratto a specchio e complementare dei due fratelli.
Bologna e Molise in doc al Biografilm 2023
This Is Bologna di Lucio Apolito e Alvise Renzini narra i luoghi del capoluogo emiliano che sono destinati a sparire. Negozi di barbieri, cinema a luci rosse e locali di musica punk, consapevoli del fato avverso, tentano comunque di sopravvivere mentre la città cambia intorno a loro. Anche il Molise, quella piccola regione di cui molti mettono da sempre in dubbio l’esistenza, manifesta con forza il suo essere reale – e soprattutto vivo. Luigi Grispello, come i colleghi bolognesi, nel documentario Molise tropico felice presenta al pubblico quei paesini che ai nostri occhi non hanno futuro, ma che, per chi li vive, sono semplicemente immortali.
Il cinema favoloso di Roberta Torre
Vivere la vita secondo le proprie regole e proteggere la propria libertà sono temi che riaffiorano in tutta la filmografia della regista milanese; i titoli si sviluppano nell’universo sognante che il suo stile cinematografico crea: la sua regia alimenta la sospensione dell’incredulità, i suoi film sono illusioni infrangibili. Nel cinema di Roberta Torre si riconosce un’atmosfera fiabesca per quanto riguarda la messa in scena e la caratterizzazione dei personaggi: elementi fantasiosi, personalità sui generis, ambientazioni tanto vere quanto surreali e racconti che si sviluppano sul labile confine tra realtà e finzione.
“Denti da squalo” in difficile equilibrio tra simboli e realismo
Denti da squalo è tutto giocato su una stratificazione di significati simbolici, oltre che dal referente concreto. Così lo squalo viene a rappresentare la paura del vivere, la violenza che dobbiamo impersonare per farci rispettare, ma anche il suo contrario, l’anelito verso la libertà e il rifiuto di costrizioni e modelli sociali. Allo stesso tempo, lo squalo è anche un personaggio della narrazione a cui imprime una svolta finale certamente di presa emotiva, pur se non molto credibile.
“Billy” e gli spazi della solitudine
“Bisogna pur credere in qualcosa, anche se non esiste”, dice la madre a Billy. Questa, sembra essere la stessa constatazione che ha permesso alla regista di portare avanti il suo progetto apparentemente focalizzato su un unico personaggio, ma, in realtà, corale e di fare della semplicità la sua inattaccabile cifra stilistica. Semplicità – e modestia dei mezzi – che rimandano anche alla fotografia di Luigi Ghirri, a cui la regista ha espressamente dichiarato di ispirarsi.
“Rapito” speciale II – Il velo del dogma
L’intera filmografia di Bellocchio è una processione di veli che frappongono l’uomo a una libertà originaria. Ma in ogni suo film riesce a scoprire in maniera nuova le sue figure tipiche, a rimodellare le forme del genere melodrammatico, a rendere sempre più ambiguo il dualismo tra vita e apparenza. Dall’intensificazione spudorata di elementi realistici del melodramma erompono gli incubi reconditi, le pulsioni inconsce, i desideri di autonomia dei soggetti.
“Rapito” speciale I – Le ambizioni del cinema italiano
Sia Rapito sia Esterno notte raccontano la storia di un rapimento, di un atto di violenza verso un individuo, che è in realtà un atto politico e che si lega a doppio filo al contesto storico e socioculturale in cui avviene. Aldo Moro, martire in Esterno notte, è sostituito in Rapito dal piccolo Edgardo Mortara, ebreo sottratto alla famiglia su ordine di Papa Pio IX, per avere un’educazione cattolica. Sullo sfondo c’è il Risorgimento e la lotta contro il potere temporale della Chiesa.
“Gli ultimi giorni dell’umanità” e la poesia della teoria
Il montaggio di Alessandro Gagliardo gioca con la durata e trasforma la “poesia della teoria” di Ghezzi in pratica filmica creando relazioni sorprendenti e generando il senso a partire da un vuoto prodotto dallo scontro di materiali difformi, come nel cinema di Chris Marker o nella produzione video di Jean-Luc Godard. Rispetto a una scomparsa della realtà, l’etica ghezziana cerca ancora di “cogliere la realtà nei brandelli” attendendo fiducioso un nuovo incrocio di sguardi, una nuova relazione con le immagine, una nuova umanità. Di fronte al terrore della fine, ci chiede un ultimo sforzo per trattenere un brandello di realtà, di umanità, di desiderio.
“Il sol dell’avvenire” speciale II – La politica e l’amore
Succede quello che nel cinema di Moretti accade spesso, dai tempi di Aprile, del Caimano, del già citato Mia madre. Che la vita entra nel cinema, cambiando il film che si sta girando, boicottandone le riprese. Si intrufola sul set sotto forma degli oggetti di oggi che continuano a comparire nelle scenografie anni Cinquanta, si oppone alle intenzioni del regista facendo innamorare gli attori, mandando in galera i produttori. Trasformando un film politico in un film d’amore.
“Il sol dell’avvenire” speciale I – Una dichiarazione d’amore
Si riannodano i fili di un percorso cinematografico che dura da cinquant’anni, fatto di idiosincrasie, fissazioni, facce stupite e recitazioni stranianti, viaggi, diari e giornali, canzoni italiane ascoltate, ballate e ostinatamente cantate, di impegno politico dentro e fuori dal set, di film girati o desiderati, di lettere mai spedite e pasticceri trozkisti, di madri reali, immaginate, evocate o sublimate, di attori che sono il corpo e la sostanza stessa di un percorso poetico, in quella che è la più struggente e radicale dichiarazione d’amore verso il cinema che Moretti abbia mai messo in scena.
“La generazione perduta” tra militanza e dipendenza
La generazione perduta restituisce con grande lucidità il profilo di un cronista balzacchiano, affamato di storie e contatti umani, capace come nessun altro di raccontare in presa diretta quei fenomeni e quei fatti dal centro del magma che li generò; ma anche il ritratto di un ragazzo generoso e fiero, pronto a rivendicare una forma privata di nichilismo e segnato da un «coraggio dettato dalla disperazione»: con queste parole lo descrive nel libro Francesca Comencini, che frequentò Rivolta nei suoi ultimi anni ma non ha partecipato al documentario.