“Buena Vista Social Club” come musical alternativo
C’è una luce salvifica nei luoghi ripresi dal regista tedesco, che li consegna ad un’“archeologia del futuro” grazie ad uno sguardo cinematografico che attraversa, sospeso, un gelido passato, un appassionato presente e un domani che non sembrava essere così epico e colorato. Le nuance di stili, di toni, che ammiriamo nelle strutture architettoniche/teatrali, persino negli edifici abbandonati o nei murales, e che ascoltiamo nelle melodie di brani che fermano istanti seducenti, non possono che invitarci a sognare da partecipi spettatori di un decadente (e alternativo) musical hollywoodiano.
Le immagini sopra tutto. Intorno ad alcuni film contemporanei
Sono solo immagini. Non nel senso che sono semplicemente immagini – ovvero che c’è un mondo là fuori che esiste indipendentemente da esse – ma nel senso che sono soprattutto immagini. Se il cinema si è fatto teoria, in questi mesi, lo ha fatto seguendo questa idea, facendo emergere lo statuto dell’immagine non come qualcosa che vale la pena rincorrere nonostante un contesto sfavorevole o addirittura irrappresentabile, ma immagini che si producono e rincorrono indipendentemente dal contesto.
“Marcello mio” tutto sua figlia
C’è forse un equivoco alla base delle reazioni perplesse di molti addetti ai lavori e di parte del pubblico, perché Marcello mio non è un biopic su Mastroianni e nemmeno un semplice omaggio allo stesso, ma un’operazione molto più complessa e stratificata che gioca sul continuo ribaltamento tra messa in scena finzionale e vita privata, un corpo a corpo fiction/nonfiction che cerca di rielaborare il fantasma di Marcello e il suo mito attraverso la figura e i ricordi privati della figlia Chiara.
“Furiosa” speciale II – Il ruggito del grande cinema
In Furiosa è presente tutto Mad Max. È presente l’asprezza di una vita che distrugge affetti e valori per corrompere l’innocenza dei più puri e una reazione che acquista la forma di un rabbioso inseguimento. Ma ancora una volta è presente del grandissimo cinema, tumultuoso quanto l’assalto ad una blindocisterna, ma anche intenso quanto lo sguardo di due amanti che decidono di rischiare la vita per inseguire la libertà. C’è quindi veramente tanto di cui essere grati a George Miller, tanto per cui esaltarsi e gioire, ad occhi spalancati, in silenzio, nel buio di una sala.
“Furiosa” speciale I – Sovvertire le aspettative
Il film alterna all’azione momenti in cui il racconto procede con ritmo più cadenzato, in cui c’è più tempo per raccontare i personaggi, i rapporti tra di loro, con un approccio intimista che non sempre funziona del tutto. Ogni tanto questa alternanza di ritmo sembra penalizzare Furiosa, ne rende la narrazione più dispersiva e meno focalizzata. Ma è chiaro che si tratta di una precisa scelta autoriale che contribuisce a rendere questo film qualcosa di diverso dalla maggior parte dei blockbuster contemporanei.
“I dannati” e la separazione dal mondo
Man mano che I dannati procede, il gruppo dei protagonisti si frammenta, i personaggi cambiano, le aspettative e le illusioni cedono, lungo un percorso ossimorico di dannazione e di ascetismo, di separazione dal mondo. Un lavoro unico che vuole riappropriarsi di un modo di conoscere e riscrivere la storia, grazie a un regista che non si lascia guidare solo dalle proprie intuizioni, bensì recepisce ed elabora le tensioni del mondo esterno, presente, passato e forse un po’ anche futuro.
“Niente da perdere” e da sperare
La scelta di Virginie Efira come protagonista del film, stella nascente del cinema francofono, già nota per i ruoli in Sibyl (2019), Benedetta (2021) e Il coraggio di Blanche (2023), è semplicemente perfetta per il ruolo di una madre che lotta per riavere suo figlio, riuscendo in maniera efficace a restituire la rappresentazione di una umanità eccentrica, che afferma potentemente il diritto di essere una buona madre anche al di là di rigidi tracciati socialmente accettati.
“Una storia nera” come gruppo di famiglia in un interno
“Il giardino delle vergini suicide” e l’adolescenza come soggettività
Ad essere in gioco è la dimensione della scelta che è negata alle protagoniste, rinchiuse in casa come la Priscilla dell’ultimo film della regista. Una scelta legata non solo alla condizione adolescenziale, ma anche, e forse soprattutto, ad una questione di genere. I personaggi di Coppola sono quasi sempre figure femminili che agiscono per raggiungere una liberazione sia fisica che spirituale.
La piccola bottega di splendori. Il cinema di Roger Corman
“Noi siamo artigiani e cerchiamo di fare del nostro meglio” affermava il soprannominato “Re dei B-Movie” che sin dagli anni Cinquanta, con intraprendenza e inventiva, sdogana questo cinema elevandolo qualitativamente senza però perderne la sua originale natura povera e artigianale. Anzi, facendo leva proprio su tali limiti materiali, Corman li trasforma nei punti di forza di uno stile coinvolgente quanto riconoscibile: duro, diretto e scarno. Un cinema che gioca col cinema, rispettoso dei canoni ma al contempo loro irriverente innovatore.
“Il gusto delle cose” tra poesia di vita e danza del gusto
Come in Challengers di Luca Guadagnino, dove un match di tennis al meglio dei tre set si rivela l’espediente per discutere di desiderio, qui la cucina è il teatro delle passioni sul palcoscenico del quale si esprimono amore ed emozioni con douceur e misura. Dodin e Eugénie si amano senza dirselo. Costantemente s’attraggono e si cercano attraverso l’influsso delle rispettive abilità e talenti, dichiarando d’amarsi grazie al cibo e la poesia di una vita accompagnata dalla danza delle ore e delle stagioni, che si rincorrono divertendosi all’infinito.
“L’odio” e l’epicentro dell’ingiustizia
L’odio è visivamente un film ruvido, di forti contrasti e contraddizioni destinati a non trovare una sintesi. Da un lato la periferia degradata, ma luminosa e accogliente, dall’altro la Parigi bene, immortalata con ammirazione in centinaia di opere, che diventa qui il tenebroso epicentro dell’ingiustizia. È allarmante che dopo quasi trent’anni L’odio rimanga un film attualissimo. Casi di cronaca riguardanti la brutalità della polizia si sprecano e ogni volta ci si avvicina a quell’atterraggio profetizzato da un giovane autore poco più che esordiente.
“Troppo azzurro” senza moralismi e assoluzioni
Piena di battute folgoranti, Troppo azzurro è una commedia misurata e non banale, ben recitata e ben scritta, con uno sguardo personale e originale, un suo ritmo (grazie anche alla musica di Pop X), dei bei personaggi, capace di dire qualcosa sul presente, sulle incertezze e sulle paure dei ventenni (e non solo sulle loro), senza moralismi o assoluzioni. Per un’opera prima, non è veramente niente male.
“C’era una volta in Bhutan” un monaco buddista col fucile
Il rapporto tra modernità e tradizione, tra passato e futuro, tra esterno e interno, tra aspettative e realtà: Pawo Choyning Dorji prende gli interrogativi che avevano caratterizzato la sua opera prima e decide di calarli in un momento ben preciso, intrecciando la Storia con la S maiuscola con una serie di vicende e personaggi minori, creando un affresco corale che si regge tutto nella domanda che abbiamo posto in apertura: che cosa se ne fa un monaco buddista di un fucile?
“Anselm” e Wenders in titanica confidenza
Anselm di Wim Wenders, dedicato al grande artista contemporaneo Anselm Kiefer, è un vitale slancio titanico-romantico verso il superamento del limite. Girato in 3D con risoluzione 6K, è pensato per immergere completamente lo spettatore nel mondo di Kiefer, nella possanza soverchiante delle sue enormi creazioni, nella matericità inquietante e stratificata di elementi eclettici, dal piombo al grano bruciato.
“Come fratelli” dentro una rabbia sopita
Mantenendo sempre l’attenzione su rabbie sopite e amori esplicitati, l’autore riprende il tema della famiglia alternativa, caro alla cinematografia asiatica, basti pensare a Kore’eda. Come per il cineasta giapponese, anche in Come fratelli – Abang e Adik sono i personaggi e non la biologia a decidere i rapporti famigliari: in primis i due protagonisti, uniti da un legame fraterno che in diverse occasioni sfiora volutamente l’omoerotismo, così come Jia En, che trascura la sua vera parentela per dedicarsi ai bisognosi.
“Il giardino delle vergini suicide” e l’idillio della morte
Ad ispirare la Coppola fu il libro Le vergini suicide, pubblicato nel 1993 da Jeffrey Eugenides. La regista, che scrive e dirige storie di donne, fa arrivare al pubblico l’intensa storia delle sorelle Lisbon. La scena di apertura mostra i rassicuranti paesaggi del quartiere periferico del Michigan abitato dalla loro famiglia. Le immagini di verdi fronde, del soleggiato giardino e il quieto vivere verranno bruscamente contrastate dall’evento scatenante del tentato suicidio della Lisbon più giovane, che porterà al suicidio di gruppo delle sorelle.
“Confidenza” inusuale per il cinema italiano
Con Confidenza Luchetti realizza un quadro accurato della meschinità umana, di quella condizione che contraddistingue il panorama piccolo borghese italiano, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sociale. Allo stesso tempo costruisce un’opera inusuale per il cinema italiano contemporaneo, regalando al pubblico un film complesso, quasi sperimentale, soprattutto dal punto di vista estetico.
“Challengers” speciale IV – Il desiderio sul campo da gioco
I protagonisti di questo mènage à trois sono giovani, ambiziosi e determinati: hanno fame, vogliono tutto e sono convinti di poterlo ottenere con relativa facilità perché sono capaci, sono allenati, sanno cos’è il tennis, quali mosse fare e quali non fare. Tra un salto temporale e l’altro che ricostruisce la loro storia, seguiamo la traiettoria incostante e affannosa percorsa dal loro desiderio, costretto a spegnersi lentamente in una carriera alla deriva, in opportunità negate e potenzialità sprecate.
“Challengers” speciale III – Il tennis è un demone
Il vero spettacolo è il campo da tennis, teatro di singolari e collettive performance che partecipano ad un rito regolato da convenzioni comportamentali come in una sala cinematografica o da ballo (con spiriti danzanti). Non sfugge allo sguardo del cineasta palermitano, nonostante il respiro internazionale della sua arte, la magica meridionale liturgia insita nell’idea di rappresentazione, tipica di ancestrali credenze popolari, in cui il totale degli elementi che la compongono è superiore alla semplice somma degli stessi.
“Challengers” speciale II – Epicureo, vitalistico, estatico
Come sempre il miglior talento di Guadagnino resta quello di un raffinato pornografo, capace di rendere sensuali non solo i corpi dei suoi attori ma anche cibi, paesaggi, vestiario. Da questo dipende la sua affinità così spiccata col mondo dello spot e della pubblicità, dov’è fondamentale il concetto di sex up. Stavolta però – come già in parte in Chiamami col tuo nome – a emergere è la forza poetica latente in questo eccitamento, quella di un vero e proprio inno estatico e vitalistico alla liberazione dei sensi.