“C’era una volta in Bhutan” un monaco buddista col fucile

Il rapporto tra modernità e tradizione, tra passato e futuro, tra esterno e interno, tra aspettative e realtà: Pawo Choyning Dorji prende gli interrogativi che avevano caratterizzato la sua opera prima e decide di calarli in un momento ben preciso, intrecciando la Storia con la S maiuscola con una serie di vicende e personaggi minori, creando un affresco corale che si regge tutto nella domanda che abbiamo posto in apertura: che cosa se ne fa un monaco buddista di un fucile?

“Anselm” e Wenders in titanica confidenza

Anselm di Wim Wenders, dedicato al grande artista contemporaneo Anselm Kiefer, è un vitale slancio titanico-romantico verso il superamento del limite. Girato in 3D con risoluzione 6K, è pensato per immergere completamente lo spettatore nel mondo di Kiefer, nella possanza soverchiante delle sue enormi creazioni, nella matericità inquietante e stratificata di elementi eclettici, dal piombo al grano bruciato.

“Come fratelli” dentro una rabbia sopita

Mantenendo sempre l’attenzione su rabbie sopite e amori esplicitati, l’autore riprende il tema della famiglia alternativa, caro alla cinematografia asiatica, basti pensare a Kore’eda. Come per il cineasta giapponese, anche in Come fratelli – Abang e Adik sono i personaggi e non la biologia a decidere i rapporti famigliari: in primis i due protagonisti, uniti da un legame fraterno che in diverse occasioni sfiora volutamente l’omoerotismo, così come Jia En, che trascura la sua vera parentela per dedicarsi ai bisognosi.

“Il giardino delle vergini suicide” e l’idillio della morte

Ad ispirare la Coppola fu il libro Le vergini suicide, pubblicato nel 1993 da Jeffrey Eugenides. La regista, che scrive e dirige storie di donne, fa arrivare al pubblico l’intensa storia delle sorelle Lisbon. La scena di apertura mostra i rassicuranti paesaggi del quartiere periferico del Michigan abitato dalla loro famiglia. Le immagini di verdi fronde, del soleggiato giardino e il quieto vivere verranno bruscamente contrastate dall’evento scatenante del tentato suicidio della Lisbon più giovane, che porterà al suicidio di gruppo delle sorelle.

“Confidenza” inusuale per il cinema italiano

Con Confidenza Luchetti realizza un quadro accurato della meschinità umana, di quella condizione che contraddistingue il panorama piccolo borghese italiano, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sociale. Allo stesso tempo costruisce un’opera inusuale per il cinema italiano contemporaneo, regalando al pubblico un film complesso, quasi sperimentale, soprattutto dal punto di vista estetico.

“Challengers” speciale IV – Il desiderio sul campo da gioco

I protagonisti di questo mènage à trois sono giovani, ambiziosi e determinati: hanno fame, vogliono tutto e sono convinti di poterlo ottenere con relativa facilità perché sono capaci, sono allenati, sanno cos’è il tennis, quali mosse fare e quali non fare. Tra un salto temporale e l’altro che ricostruisce la loro storia, seguiamo la traiettoria incostante e affannosa percorsa dal loro desiderio, costretto a spegnersi lentamente in una carriera alla deriva, in opportunità negate e potenzialità sprecate.

“Challengers” speciale III – Il tennis è un demone

Il vero spettacolo è il campo da tennis, teatro di singolari e collettive performance che partecipano ad un rito regolato da convenzioni comportamentali come in una sala cinematografica o da ballo (con spiriti danzanti). Non sfugge allo sguardo del cineasta palermitano, nonostante il respiro internazionale della sua arte, la magica meridionale liturgia insita nell’idea di rappresentazione, tipica di ancestrali credenze popolari, in cui il totale degli elementi che la compongono è superiore alla semplice somma degli stessi.

“Challengers” speciale II – Epicureo, vitalistico, estatico

Come sempre il miglior talento di Guadagnino resta quello di un raffinato pornografo, capace di rendere sensuali non solo i corpi dei suoi attori ma anche cibi, paesaggi, vestiario. Da questo dipende la sua affinità così spiccata col mondo dello spot e della pubblicità, dov’è fondamentale il concetto di sex up. Stavolta però – come già in parte in Chiamami col tuo nome – a emergere è la forza poetica latente in questo eccitamento, quella di un vero e proprio inno estatico e vitalistico alla liberazione dei sensi.

“Challengers” speciale I – L’estetica modernizzata del film sentimentale

Challengers sovrappone sport e vita con lo stesso andamento di un film d’azione: il ritmo è incalzante, sottolineato dagli stacchi di montaggio nei momenti in cui la palla corre a tutta velocità verso l’obiettivo e dalle sonorità elettroniche del duo Reznor-Ross. Procedendo spedito tra un flashback e l’altro, Guadagnino modernizza l’estetica del film sentimentale, coniugando l’interesse verso le relazioni tra i personaggi al piacere quasi tangibile di portare in scena una storia intrinsecamente godibile ed entusiasmante.

“Back to Black” tra biografia ed ecologia dello sguardo

Supportata dall’ ottima fotografia di Polly Morgan, Sam Taylor-Johnson pone l’enfasi sulla moda e l’amore della cantante per lo stile pin-up, realizzando la ricostruzione filologicamente impeccabile di sequenze di concerti e reinterpretando in chiave narrativa alcuni videoclip dell’artista. In questo la regista sfodera tutto il background che la rese celebre negli anni ‘90 come video-artist e fotografa col gruppo degli Young British Artist, che risollevarono le sorti dell’arte contemporanea inglese portando alla ribalta un gruppo di studenti del glorioso Goldsmith College.

“Civil War” e gli ultimi fuochi della democrazia  

Che siano Vietcong, terroristi islamici, concittadini civili o presidenti, quando i caduti diventano prede, come accade in guerra così come nel documentarla, rughe, sorrisi, rigurgiti e paralisi si fanno indecifrabili e aprono a plurime interpretazioni sulla natura umana e sul futuro che questa è in grado di desiderare e costruire. E l’interpretazione di Garland, pur non definitiva, non prelude alle magnifiche sorti e progressive.

“Cattiverie a domicilio” sboccate e liberatorie

Su uno scontro di sessi e nei sessi, alle prese con un cambiamento epocale, inarrestabile, ostacolato e ostracizzato, si costruisce Cattiverie a domicilio. Se il film non ha l’equilibrio di una commedia Ealing, indeciso com’è se spingere sul pedale grottesco delle gustose volgarità epistolari o se farsi dramma a tutti gli effetti, a fare la differenza è un gruppo di interpreti strepitosi, che danno ai personaggi quello spessore, quella complessità, quelle sfumature che a volte nella sceneggiatura sembrano solo accennati.

“Perfect Blue” e il cinema come infinita macchina dei sogni

Affine al potere rivelatorio di Bunuel e dei surrealisti, il cinema di Kon elude il senso razionale per lasciar emergere le densità dell’inconscio; i suoi film mettono al proprio centro la soggettività – dei personaggi quanto dello spettatore – e sovvertono i modi convenzionali della narrazione mediante ellissi, flashback, dilatazioni e contrazioni temporali. La realtà è elaborata da ricordi e immaginazione, acquisendo le forme del sogno.

“Augure” e l’identità in tutte le sue forme

Non deve  sorprendere il fatto di trovarci dinanzi a un film disorientante, ambizioso nel suo sguardo, con uno stile in perenne mutamento. Le tematiche che emergono dal racconto sono diverse: si va dall’appartenenza alle proprie origini sino al colonialismo, passando per il razzismo, il patriarcato ancestrale, l’invadenza dei rituali religiosi, la difficoltà di far conciliare la tradizione al proprio percorso individuale etc. Ma è l’identità, in tutte le sue forme, in tutte le sue sfaccettature, la vera protagonista di Augure.

“I delinquenti” alla conquista del tempo

L’arte della divagazione di Moreno sembra divergere sia dalla divagazione neorealista di un Miguel Gomes, così aperto alla meraviglia dell’imprevisto, sia dalla divagazione materialista dei suoi amici del Pampero Cine, sempre pronti alla rottura della quarta parete per ricondurre la divagazione all’interno del loro progetto didattico. Moreno non sa in realtà che farsene della campagna. È solamente interessato a disattivare il comando della produttività, a riscoprire un tempo improduttivo, che è quello proprio del cinema.

“E la festa continua!” nel cinema delle meraviglie

Le note, nostalgiche e bellissime, di Emmenez-moi di Aznavour non sono meno importanti di Marsiglia come della regia, della scrittura e della recitazione: invadono e saturano tutto il film, sia nella sua dimensione diegetica (i protagonisti imparano la canzone per la commemorazione del tragico crollo di due stabili inabitabili ma occupati di Rue d’Aubagne del 2018) sia come commento al rapporto tra Rosa e Henri, restituendone tutta l’impetuosità di utopia sentimentale e politica.  

“Gloria!” nell’alto della musica

Gloria! presenta la vita di cinque abitanti dell’Istituto Sant’Ignazio; Lucia, Bettina, Marietta e Prudenza studiano musica con il Maestro Perlina, mentre Teresa lavora nell’orfanotrofio come domestica. Le loro vicende si susseguono sulle note di archi e pianoforte facendo della musica la sesta protagonista del film. È la musica che crea e comanda i rapporti tra i vari personaggi, è la musica che assume un ruolo centrale nel direzionare la storia ed è la musica che permette la liberazione dei corpi e soprattutto delle menti.

“Soul” e l’anima della Pixar

Disney distribuisce in sala Soul (2021). Per godere appieno di questo lavoro si potrebbe, anzi, si dovrebbe spogliare lo sguardo da qualsivoglia componente critica. Si dovrebbe ridere, piangere, emozionarsi e seguire Joe e 22 in una New York magnifica e decadente, inebriarsi delle note musicali suonate in un locale jazz e di quelle cromatiche orchestrate dai registi. Bisognerebbe lasciarsi pervadere dalle immagini e dare poca retta alle morali filosofiche ed esistenziali. Insomma, liberarsi di tutta la teoria per andare al cuore, pardon, all’anima del film. 

“Il mio amico robot” e la meditazione sull’amicizia

Il film di Berger è una riuscitissima meditazione sulla solitudine, nella quale sia l’ironia sia la melanconia si amalgamano giocosamente, nonché sull’importanza dei legami, vecchi e nuovi. Non solo sul timore di perdere, un giorno come tanti, un’amicizia consolidata, speciale. Sul desiderio di rimanere al fianco del proprio o della propria mate, qualunque cosa accada, contribuendo alla formazione di un rifugio in cui ospitare il motore di una vicendevole serenità.

“L’arpa birmana” che riconosce l’umano in ogni cosa

In quanto testimone isolato degli effetti disumani del conflitto Mizushima si sente chiamato al lavoro definitivo della pietà: seppellire i morti, i morti sconosciuti e dimenticati che affollano le valli e le coste della Birmania, i morti che non appartengono più a nessuno. Così impara a riconoscere l’umano in ogni cosa, nel volto di un bambino cui insegnare a suonare il suo strumento, nelle ossa incrostate di fango al bordo di un fiume, nel pappagallo che gli sta sempre appollaiato sulla spalla, in un rubino trovato per caso nello scavare una tomba.

“Scarface” ossessivo, melodrammatico e seducente

“The world is yours”, leggiamo sul mappamondo dorato che si trova nell’atrio della lussuosa villa di Tony. Ma se durante la sua ascesa quel yours si poteva leggere al singolare, preannunciando l’avverarsi del sogno americano, nella caduta a chi si riferisce? Di chi è il mondo? Se alla fine nel film di Hawks il mondo non era più solo del suo villain ma anche dei poliziotti che lo giustiziavano e della società che si doveva fare carico del problema criminalità, nel remake di De Palma pare non esserci alcuna forma di speranza, giustizia o redenzione.